In una lunga intervista appena concessa al quotidiano francese Le Figaro, il cardinale Robert Sarah affronta le questioni urgenti nella Chiesa. L’ex Prefetto della Congregazione per il Culto divino non si è sottratto alle domande più ostiche, come quelle sui casi di pedofilia dei sacerdoti.
Un tema caldissimo in Francia, ancora scossa dal Rapporto della commissione Sauvé che ha conteggiato 216mila vittima di abusi sessuali avvenuti negli ultimi 70 anni, quantificando in circa tremila il numero dei sacerdoti coinvolti.
I temi urgenti
Il Cardinale Robert Sarah, già Prefetto della Congregazione per il Culto divino, parla degli abusi sessuali da parte di sacerdoti e avverte: è necessario riconoscere le proprie responsabilità. Non bisogna confondere la misericordia e la complicità col peccato. Ma gli abusi non diventino il pretesto per attaccare il celibato.
I vescovi di Francia, riuniti in assemblea a Lourdes, hanno chiesto perdono a Dio dopo aver riconosciuto “ufficialmente la responsabilità istituzionale della Chiesa e la dimensione sistemica degli abusi sessuali nella Chiesa”. Adesso si aprirà una difficile stagione per la chiesa francese, fatta di risarcimenti alle vittime e di lotta interna alla piaga della pedofilia.
Un passo dovuto, ha commentato il cardinale africano, per il quale “era necessario affrontare la verità” per arrivare a scoprire “l’ampiezza e la profondità del peccato”. “Se c’è una responsabilità istituzionale” – ha proseguito Sarah – essa sta in questo: non aver saputo chiamare il male col suo nome. Abbiamo mostrato una terribile leggerezza di coscienza di fronte alla gravità del peccato”.
Non deve sfuggire l’estrema serietà di questi fatti. Il cardinale non risparmia parole dure: “Quando un prete molesta un bambino, questo non è un incidente di percorso. È una negazione radicale del suo essere sacerdote. È un crimine. Distrugge la vita umana e spirituale della vittima. Macchia il sacerdozio. Sporca l’intera Chiesa e impedisce l’evangelizzazione”.
Delitto e peccato
Non ci sono dubbi al riguardo, afferma Sarah: “Il delitto va punito. Il peccato deve essere riparato”.
Viene da chiedersi se la Chiesa non abbia forse confuso misericordia e giustizia nei riguardi dei sacerdoti incriminati. Effettivamente il cardinale della Guinea conferma che “da troppo tempo confondiamo misericordia e compiacenza col peccato. La Chiesa si è lasciata contaminare da uno spirito mondano che col pretesto della comprensione soggettiva arriva a ignorare la gravità oggettiva degli atti”.
Fare questo significa dimenticare che “il perdono è possibile solo se il male è stato riconosciuto ed è diventato oggetto di pentimento. Questo è vero per i crimini di pedofila come per ogni peccato”.
Non è questione da poco. Ne va della fedeltà della Chiesa al suo Signore, perché “quando la Chiesa non denuncia il peccato è infedele a Cristo, viene meno alla sua missione. I santi non hanno avuto paura di impiegare parole violente per denunciare la gravità dei peccati. Ma noi, invece, tremiamo davanti a parole come ‘punizione’, ‘riparazione’, ‘peccato’”.
Ma era davvero necessario riconoscere una responsabilità “istituzionale” e “sistemica” della Chiesa? Sì, afferma Sarah: “Era necessario dire che la nostra silenziosa leggerezza di fronte alla gravità del peccato era diventata un sistema, tanto era arrivata a infiltrarsi nella mente delle persone e a generare una forma di complicità incosciente, un’indifferenza al peccato”.
Ritornare all’essenza del sacerdozio
Detto questo, bisogna anche riconoscere che “l’immensa maggioranza dei sacerdoti è rimasta fedele al proprio sacerdozio”. Infatti il 97% dei preti francesi non si è reso colpevole di alcun abuso. Dunque va lodato, sottolinea Sarah, “il loro sacrificio quotidiano [che] è silenzioso e discreto” e di cui nessuno parla. Eppure la fedeltà di questi sacerdoti è “un segno di speranza e di rinnovamento per tutta la Chiesa”.
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Proprio per i sacerdoti il cardinale Sarah ha pensato il suo ultimo libro, intitolato “Per l’eternità. Meditazioni sulla figura del prete”, un’opera scritta “per dire loro di non aver paura di vivere integralmente il sacerdozio come Cristo ce lo ha lasciato”.
Al sacerdote bisogna chiedere semplicemente di “essere sacerdote, configurato a Cristo!”. I sacerdoti vanno apprezzati “per quello che sono, non per quello che fanno”. E nemmeno bisogna chiedere alla Chiesa “di avere successo, di essere efficace”. La Chiesa infatti “non è una ONG”. E se c’è qualcosa da chiederle è “la verità del Vangelo, la bellezza della liturgia, la grazia dei sacramenti”.
Il pericolo delle strumentalizzazioni ideologiche
C’è chi però cerca di strumentalizzare questa penosa vicenda per attaccare il sacerdozio in quanto tale. Anche in questo caso il cardinale ha parole chiare: il fatto che la stragrande maggioranza dei sacerdoti si sia dimostrata fedele sta a mostrare che “a essere in discussione non sono il sacerdozio in sé né la dottrina cattolica sul sacerdozio. So che alcuni sono tentati di inventare una nuova figura di sacerdote, addirittura una nuova Chiesa. Queste tentazioni sono vane. Non è perché alcuni hanno abusato della paternità o dell’autorità sacerdotale per farne lo strumento della loro perversione che è necessario negare che il sacerdote sia padre e abbia un ufficio di guida in virtù della sua ordinazione sacramentale”.
La verità è che questi sono giudizi riduttivi, perché “il peccato non è solo una debolezza psicologica né una conseguenza necessaria di una struttura sociale. Anche addossare la colpa alla struttura della Chiesa sarebbe venire meno alla nostra responsabilità”. Perciò dobbiamo stare attenti “a non usare la sofferenza delle vittime per far avanzare un’ideologia”.
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Il cardinale lo ribadisce con forza: è ingiusto strumentalizzare l’infedeltà di una piccola minoranza per mettere in discussione il sacerdozio stesso, “come se la figura del sacerdote, configurata a Cristo per l’eternità mediante il sacramento, fosse di per sé nociva e portatrice di una tentazione di onnipotenza psicologica. Al contrario, questa configurazione spirituale impegna i sacerdoti a vivere in modo particolare la radicalità del Vangelo”.
È compito dei vescovi indicare ai sacerdoti la strada della santità. Che non vuol certo dire pretendere che siano dei “superuomini onniscienti” o delle “star che brillano agli occhi degli uomini”. Ai sacerdoti, ricorda Sarah, è chiesto altro: “A loro è richiesto di essere santi, cioè di vivere in pienezza il loro stato di servitori del Popolo di Dio mediante il dono dei sacramenti e la fedeltà all’insegnamento di Cristo”.
Il celibato sotto attacco
Anche il celibato viene messo in discussione. Ma anche in questo caso siamo di fronte e una strumentalizzazione da respingere, replica l’ex Prefetto del culto divino, tanto più che “la commissione Sauvé ha affermato che il celibato non può essere considerato una causa di abuso sessuale”. Infatti è ben noto che “la stragrande maggioranza di questi abusi sono commessi da uomini sposati”.
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Bisogna perciò preservare il celibato, che è “il segno del dono di sé come servo e sposo della Chiesa”. D’altra parte, però, “dobbiamo adottare mezzi concreti e realistici per preservarlo. Così come uno sposo conserva la sua fedeltà nel matrimonio evitando occasioni equivoche, un sacerdote deve sempre agire da sacerdote, portare un abito riconoscibile. Per lui non c’è una vita privata, separata dalla sua vita sacerdotale”.
La lezione dei santi contro la tentazione delle divisioni nella Chiesa
Se c’è una lezione da imparare è quella dei santi, sottolinea il cardinale africano: “Il peccato è antico quanto il mondo! La Chiesa non deve aver paura delle crisi. I santi non avevano paura di chiamare il peccato col suo nome. È così che hanno fatto risplendere la bellezza e la santità della Chiesa. Piuttosto che cercare di “comunicare” per rendersi popolare e gradita al mondo, la Chiesa dovrebbe cercare semplicemente di essere fedele al Vangelo e alla sua esigenza di conversione e santità”.
Molti cercano di creare divisioni nella Chiesa contrapponendo tra di loro i pastori, mettendo anche vescovi e cardinali contro il papa. Questo accade, osserva Sarah, perché “molti, anche tra i cristiani, hanno una visione politica della Chiesa. Non vedono altro che scopi di potere. Si cerca di far opporre i cardinali tra di loro o contro il Papa. Tutto ciò è superficiale”.
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Costoro però dimenticano l’essenziale, e cioè che “la realtà profonda della Chiesa è spirituale. Al di là di tutto questo gesticolare, io cerco soltanto una cosa: proclamare il Vangelo di Cristo, essere fedele a questa Chiesa alla quale Egli ha promesso il Regno dei Cieli”.
Papa Francesco non vuole sopprimere l’antica liturgia
Il cardinal africano tocca anche il punto delicato delle tensioni sorte a seguito del motu proprio “Traditionis custodes” che ha limitato l’uso dell’antica liturgia latina.
“Toccare la liturgia è sempre molto delicato”, ricorda Sarah. Essa rappresenta infatti “l’espressione della nostra intima relazione con Dio nella lode e nell’amore”. A questo riguardo, dice, “credo che papa Francesco abbia chiaramente spiegato la sua intenzione nelle varie visite ad limina dei vescovi francesi e polacchi. Il suo scopo non è assolutamente quello di sopprimere l’antica liturgia”.
Il Papa “è consapevole che molti giovani e molte famiglie vi sono intimamente legati. Ed è attento a questo istinto della fede che si esprime nel popolo di Dio. Non si tratta quindi per loro di una nostalgia da persone anziane. Il Papa ha chiesto di applicare questo testo con flessibilità e sentimento paterno. Sa bene che ciò che è stato sacro per così tante generazioni non può essere disprezzato e bandito dall’oggi al domani”.
“Al contrario”, conclude il cardinale Sarah, “credo che il Papa si aspetti che l’attuale liturgia si arricchisca di ciò che l’antica liturgia ha di migliore. Allo stesso modo, si attende chiaramente che l’antica liturgia sia celebrata nello spirito del Vaticano II, il che è perfettamente possibile. Non è e non deve diventare un pretesto per i contestatori del Concilio”.