Card. Sarah: parole forti sulla causa della crisi delle vocazioni sacerdotali

La sorprendente rivelazione del porporato arriva dritta al cuore della crisi della fede contemporanea ma non senza una speranza.

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“Il sacerdote ha cura delle anime. Se non è preoccupato delle anime diventa inutile”. Lo ha affermato senza giri di parole il porporato guineano in un’intervista rilasciata alla rivista il Timone. Il cardinale, già prefetto del Culto Divino, ha infatti affrontato il tema della crisi della Chiesa che si riflette anche, talvolta, nella pastorale, nelle tematiche affrontate dai sacerdoti, insomma nel modo in cui si annuncia e si comunica la fede oggi.

La crisi che intacca il sacerdozio nelle parole del cardinale

Inseguire le logiche del mondo, infatti, per l’arcivescovo non è la strada giusta da intraprendere per annunciare il Vangelo del Signore. Una convinzione che pervade molti sacerdoti della Chiesa cattolica. Il cardinale Sarah non ha paura di affermarlo apertamente. Il rischio di una pastorale che si occupa principalmente delle cose materiali, della socialità, del corpo, si dimentica delle cose di Dio, della fede, della spiritualità, insomma della vita eterna e della salvezza divina.

Una crisi che intacca il sacerdozio e che, secondo molti, dovrebbe essere oggi al centro delle preoccupazioni di ogni cristiano. “Nella nostra società è in crisi tutto quello che porta in sé i segni chiari della stabilità, dell’immutabilità e dell’eternità, come il matrimonio e il sacerdozio”, ha spiegato Sarah. “L’uomo contemporaneo vive di cose immediate e materiali, di sensazioni e pulsioni emotive. Gli è difficili realizzare, anche solo col pensiero, valori e ideali astratti. Il pensare che sia possibile impegnare la propria vita per valori spirituali e soprannaturali senza un immediato utile materiale o psicologico sembra impossibile o assurdo”.

Il rischio di riflettere la mentalità del mondo dimenticandosi di Cristo

Tutto ciò, però, non riflette soltanto la mentalità del mondo, ma sempre più spesso anche quella di molti sacerdoti, stanchi, sfiduciati, oppressi. Eppure Gesù ha indicato chiaramente qual è la Via a cui rivolgersi in questi momenti. “Anche la vita sacerdotale è vittima di questa crisi della modernità, potremmo dire: ‘crisi metafisica’ e soprannaturale dell’esistenza umana”, spiega il cardinale con parole più esatte, quella che, sotto altri aspetti, potrebbe essere definita una vera e propria “crisi di fede”.

“La vocazione sacerdotale nasce sempre in un contesto di fede della vita della persona e della comunità, sia essa la famiglia o la parrocchia. Senza la fede in Dio non si capirebbe il perché donare la propria vita per Cristo, per la Chiesa e per le anime, per sempre”. Insomma, il vero dramma è che “per molti uomini di oggi il sacerdozio è una inutilità, una cosa che non serve, una vita inutile, tranne e solamente quando ci si occupa dei bisogni materiali del prossimo”.

Una concezione sbagliata della propria missione e vocazione

Una concezione totalmente sbagliata della propria missione e vocazione, un’interpretazione purtroppo sbagliata della chiamata del Signore sulla propria vita. Perché “per far questo non è necessario essere preti. Lo si può fare bene anche in altre condizioni di vita”. Insomma, una vera e propria cancellazione della natura del sacerdozio, qualcosa che altri non avrebbero paura a definire “anti-cristico”. Mentre in realtà la fede nel Signore, e la volontà di seguirlo con la scelta sacerdotale, è tutt’altra cosa. “Nel momento in cui abbiamo scelto di seguire la vocazione sacerdotale, abbiamo scelto di rappresentare Cristo nel mondo, su questa terra, di riflettere il Sole, che è Cristo“.

In altre parole, prosegue il cardinale, “abbiamo scelto di accogliere e portare avanti la missione che Gesù ha lasciato e affidato ai suoi apostoli prima di ritornare al Padre. Questa apparente inutilità della nostra vocazione è il primo e inconfondibile segno che dà senso alla nostra vita e alla nostra missione e che dice al mondo la gratuità evangelica come stile e programma di vita possibile per l’uomo, come Gesù ci ha insegnato”. Il problema è che ci sono forze, anche e soprattutto interne alla Chiesa, o al limite che nascono fuori che trovano vero e proprio riscontro all’interno della stessa, che remano in tutt’altra direzione.

Il pericolo che purtroppo si insidia anche all’interno della Chiesa stessa

Non è di certo una novità, ma si tratta di un pericolo che ancora oggi resta tra il detto e non detto, oscuro, quasi nascosto, ed è questo nascondimento che insidia fortemente la natura e la missione della Chiesa e di tutti i testimoni di Cristo. Per questo è necessario gridare l’allarme a gran voce, come dice il Vangelo di Matteo (10, 27): “Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti“.

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Sarah indica questo “fattore non trascurabile, interno alla Chiesa, che soprattutto dal Vaticano II, complice una certa teologia liberale, antropocentriche, ha impoverito la natura e l’identità del sacerdozio cattolico, attribuendogli una dimensione funzionalista e orizzontale”, che però “non rappresenta il pensiero della Chiesa, né della maggioranza dei Padri che hanno partecipato all’ultimo Concilio”.

La risposta di Sarah a chi parla di abolizione del celibato sacerdotale

Ma che tuttavia “è penetrato nella Chiesa, dalle facoltà teologiche, ai seminari e nelle parrocchie e ha inquinato la dottrina sul sacerdozio e la prassi della vita di tanti sacerdoti e ha prodotto una crisi di immane proporzioni“. Qui il cardinale si riferisce, ad esempio, ai tanti preti andati in crisi, a quelli che hanno lasciato il sacerdozio, probabilmente anche a quanti si sono macchiati di orrendi delitti, come quelli relativi alla crisi degli abusi, o dell’omosessualità nei seminari.

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A chi però pensa che la soluzione sia l’abolizione del celibato sacerdotale, il cardinale risponde con nettezza che non è di certo quella la strada. “Si tratta di un pretesto e di una scusa, è un argomento vecchio”, lo liquida Sarah. In quanto, al contrario, “il celibato sacerdotale nellaa Chiesa è uno dei segni più eloquenti della dimensione soprannaturale e trascendente del sacerdozio voluto da Gesù”. O meglio, “un dono che la Chiesa cattolica ha custodito fin dagli inizi, dal tempo apostolico,  mantenendolo come segno della conformazione a Cristo”. Per la semplice ragione che “il sacerdote deve somigliare a Cristo, sposo della Chiesa. Non ha altri amori che la Chiesa e le anime per le quali dona la vita, come Gesù”.

Oggi i giovani hanno bisogno di una proposta alta e radicale

Le parole del cardinale sono quindi molto forti, eloquenti, a tratti commoventi, capace di risvegliare con energia la fede sopita di tanti, certamente dei giovani, oggi profondamente in crisi anche dal punto di vista delle vocazioni. I ragazzi, infatti, oggi nella fede non hanno certo bisogno di uno scimmiottamento del mondo, di un giovanilismo sterile che annacqua la fede proponendo modelli già presenti nella società. Perché tra la copia e l’originale, si tenderà a scegliere l’originale.

Oggi i giovani sempre più hanno bisogno di una proposta alta, forte, radicale e concreta. Hanno bisogno di sentirsi dire che Dio li ama, che gli è Padre, che la missione del sacerdote non è quella di diventare un attivista sociale ma di dedicare tutto sé stesso alle anime dei suoi figli e fratelli nella fede. Ad essere missionario non per il raggiungimento dell’uguaglianza sociale ma per la donazione della vita eterna. Due concetti che sembrano essere quasi fratelli ma che sotto aspetti determinanti dell’interpretazione del sono letteralmente agli antipodi, radicalmente diversi.

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“Questo segno/scandalo per il mondo oggi è utile più che mai, e anche compreso dai giovani i quali, intrisi della cultura pansessualista ed erotista della nostra società, in particolare nei mass media, che pervade tutto e tutti, hanno bisogno di modelli di amore gratuito e generoso, di imparare ad amare in modo autentico e disinteressato e di scoprire la bellezza di un amore donato a tutti senza essere esclusivo per qualcuno o qualcuna, come l’amore di Gesù nostro Signore per noi”.

Giovanni Bernardi

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