Green Pass: c’è divisione all’interno della Chiesa | Ma cosa conta di più?

Diverse le posizioni degli episcopati rispetto alla gestione della pandemia. Ma la diversità non deve far paura, mentre è sola una cosa che deve temere il cristiano. 

Spesso ci aspettiamo che la Chiesa si comporti come quello che non è: un partito, un esercito, una nazione. È così, insegna don Primo Mazzolari, che talvolta “si scambia la Chiesa per uno stato maggiore che dispone i piani fino all’ultimo particolare, per cui neanche un plotone può muoversi se prima non gli giunge l’ordine scritto di movimento”.

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Ma il cristiano non si muove a comando perché, fa notare sempre Mazzolari, “non è la pedina di uno scacchiere che viene manovrato in tal modo. Egli ha ricevuto dalla Chiesa un insegnamento che costituisce in gran parte il patrimonio della sua coscienza e secondo la quale, in comunione con la Chiesa, egli deve agire”.

Unità nelle cose necessarie, libertà in quelle dubbie. E la carità sopra tutto

Se la Chiesa non è un esercito né un soviet supremo non deve stupire che ci sia una certa pluralità di opinioni sulla gestione della pandemia e sulle misure dei governi che comprendono una miriade di fattori e di situazioni contingenti. Senza contare la delicatezza del tasto della vaccinazione, un “intervento che coinvolge l’integrità del corpo della persona umana”, come ha detto il cardinale Willem Eijk.

La Chiesa del resto ha sempre fatto propria quella vecchia frase – ripresa da Giovanni XXIII nella sua prima enciclica, Ad Petri Cathedram – secondo cui “nelle cose necessarie ci vuole l’unità, in quelle dubbie la libertà, in tutte la carità”.

Non meravigliano allora le diverse prese di posizione dei vari episcopati nazionali sulle misure disposte dai governi per contenere la pandemia del Covid-19.

C’è un vescovo a Berlino… ma anche in Croazia

È notizia di questi giorni, ad esempio, che l’Arcidiocesi di Berlino ha deciso – in autonomia, senza alcun input governativo – di adottare la regola del 2G (geimpft, genesen: vaccinati o guariti) nel periodo dell’Avvento. Ciò significa che dal 28 novembre alle messe potranno prevalentemente partecipare solo i vaccinati o i guariti dall’infezione. La regola del 3G (che prevede anche il tampone) rimarrà valida nelle parrocchie per un’unica messa domenicale. Inutile dire che la decisione – che comunque, 2G o 3G che sia, vincola la partecipazione alla messa al possesso di un lasciapassare – sta già facendo discutere.

In Croazia invece i vescovi sono intervenuti duramente contro il Certificato Covid (l’equivalente del Green Pass) e in un comunicato hanno affermato che “tutte le misure e le decisioni per prevenire la diffusione del contagio da Coronavirus devono essere prive di coercizione e condizionamento, come sottolineato dalla Congregazione [per la Dottrina delle Fede], in particolare per quanto riguarda il diritto al lavoro, ai servizi e alla partecipazione alla vita sociale”.

I vescovi del Togo: no al pass per andare in chiesa 

Una linea simile è stata adottata dai vescovi del Togo, il paese africano dove il governo vuole imporre il pass sanitario per entrare in chiesa.

Il pass qui sarà necessario a partire dal 3 dicembre. Lo ha annunciato il ministro dell’Amministrazione territoriale in un comunicato del 15 novembre. “Il governo – si legge nel comunicato governativo – specifica che l’accesso ai luoghi di culto è ora subordinato alla presentazione di un pass di vaccinazione o di un test PCR negativo risalente a non meno di tre giorni. Questo provvedimento, che entrerà in vigore dal 3 dicembre 2021, è fondamentale per continuare la lotta al Covid-19, soprattutto in questo periodo festivo”.

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Pronta la reazione dei vescovi togolesi che hanno espresso la propria contrarietà alla misura annunciando l’intenzione di scrivere al ministro per chiedergli di riconsiderare la sua decisione: “Le misure coercitive delle autorità – hanno scritto i vescovi – come il divieto di accesso negli edifici pubblici e amministrativi senza la tessera vaccinale, l’obbligo di presentare la prova della vaccinazione per la presentazione delle pratiche per il rilascio della carta d’identità e per la legalizzazione degli atti, ecc., non costituiscono forse gravi violazioni dei diritti fondamentali dei cittadini?”.

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Già a fine settembre l’episcopato aveva scritto un comunicato per protestare contro la chiusura generalizzata dei luoghi di culto giudicata espressione “di un approccio esclusivamente biomedico alla pandemia che ignora la sua realtà psicologica, antropologica, sociale e spirituale”.

L’obbligo vaccinale, una misura coercitiva?

I vescovi del paese africano in alcuni casi hanno consigliato i fedeli di farsi vaccinare. Ma si sono fermamente opposti a ogni obbligo di vaccinazione. Sempre nel comunicato di settembre avevano ricordato al governo che “la strategia di lotta contro la crisi sanitaria deve essere rispettosa della dignità, della libertà e dei diritti fondamentali della persona umana”.

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Per i presuli del Togo la strategia anti Covid dovrebbe “basarsi essenzialmente sulla sensibilizzazione, sulla corretta informazione, sull’educazione al rispetto delle misure di prevenzione, sul rafforzamento dell’immunità collettiva naturale, sulla vaccinazione liberamente scelta e con piena cognizione di causa”.

La carità, per carità!

Comunque la si voglia vedere e pensare, deve restare un punto fisso: su tutto deve regnare la carità.

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Il grande teologo Henri de Lubac diceva che lo spirito cattolico deve essere “rigoroso e insieme comprensivo”, uno spirito “più caritatevole che litigioso” che “mette al di sopra di tutto l’indissolubile vincolo della pace cattolica e si sentirebbe colpevole se lacerasse, con il minimo “scisma di carità” la Tunica senza cuciture”.

È bene ripeterselo, soprattutto nei momenti in cui le passioni rischiano di incendiare gli animi.

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