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Crisanti si ribella. Tutti i dubbi sull’efficacia del vaccino

Covid: il virologo Crisanti non indietreggia e continua sulla sua linea. “Senza trasparenza, non farò il vaccino. In Italia, ambiente scientifico provinciale”.

Andrea Crisanti – photo web source

Nei giorni scorsi le parole di Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova, hanno fatto molto discutere. Il virologo aveva spiegato in maniera molto serena che, allo stato attuale, non ha alcuna intenzione di farsi il vaccino. In collegamento con la trasmissione di Massimo Giletti su La 7 “Non è l’Arena”, il virologo ha tuttavia ribadito pienamente la sua posizione.

Le parole di Crisanti: “Se non conosco il vaccino non lo faccio”

“Ho detto che vorrei essere sicuro che questo vaccino sia stato opportunamente testato e che soddisfi tutti i criteri di sicurezza ed efficacia perché gran parte di questa ricerca è fatta con quattrini pubblici e io i dati non li ho visti”, ha così spiegato Crisanti. “Se non li conosco, non mi vaccino”.

Le parole del virologo sono quindi semplicemente un’attestazione di buonsenso. Qualcosa di molto lontano dai toni scandalistici e accusatori dei tanti media che nei giorni scorsi, all’unisono, lo hanno attaccato.

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Vaccino, Crisanti: “In Italia ambiente scientifico provinciale”

“Non mi sembra di chiedere una cosa assurda, vorrei trasparenza e visione dei dati, vorrei capire come è fatto quel campione e se ci sono sbilanciamenti”. A quel punto però Crisanti ha anche provato a dare una risposta al perché di tanta acrimonia nei suoi confronti. “Perché sono stato attaccato? Perché l’ambiente scientifico italiano è provinciale”.

Crisanti ha infatti ricordato che per esempio il direttore dell’autorevole testata British Medical Journal è stato molto critico sulle procedure. Come lo stesso anche la rivista Nature. “Quindi mi sento in buona compagnia. Io ho chiesto solo trasparenza. Se la politica spinge per il vaccino? E’ naturale! Siamo in un’emergenza e le aspettative dei cittadini sono quelle di uscirne fuori e la politica intercetta queste aspettative. Ma voglio dire una cosa: la trasparenza genera fiducia”.

Quali sono i vari tipi di vaccino e cosa cambia tra loro

La trasmissione poi è virata verso tematiche più tecniche e specifiche, come ad esempio la differenza tra i diversi tipi di vaccino. Giletti ha provato a chiedere informazioni al virologo, collegato in video-conferenza. Che ha risposto spiegando che al momento ne esistono tre tipi.

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“Uno è generico, a tipo RNA e sono quelli di Moderna e Pfizer, differiscono perchè moderna sfrutta un brevetto proprio sulla stabilizzazione della molecola RNA che è molto instabile e quindi di fatto non ha bisogno della catena del freddo così estrema. Dopodiché c’è il vaccino AstraZeneca che è un vaccino a vettore virale, in pratica impacchetta, incapsula parte dell’acido nucleico del virus che non è in grado di replicarsi e stimola un’infezione”.

I risultati dei vaccini tradizionali ancora non disponibili

Oltre a questi casi, del tutto eccezionali, ci sono i vaccini tradizionali. Il problema però è che per questi c’è bisogno di molto più tempo per la realizzazione, e per la commercializzazione. Senza avere inoltre la certezza che questi potrebbero essere disponibili o se invece ci saranno altri tipi di complicazioni. Anche se al momento i risultati sembrano dare effetti sorprendenti, estremamente positivi.

Del terzo vaccino più tradizionale, ha infatti spiegato Crisanti, “risultati non sono ancora disponibili che è fatto con componenti proteiche del virus ma di questo ne sapremo di più tra 5 o 6 mesi”. Tuttavia, al momento, “la capacità di sviluppo del vaccino ha sorpreso tutti, in genere ci vogliono dai 5 agli 8 anni, qui siamo arrivati in meno di un anno”. E molto probabilmente, ha continuato Crisanti, “a gennaio o febbraio vedremo le prime dosi di vaccino”.

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Anche se il problema, per l’Italia, sarà lo stoccaggio e la distribuzione del vaccino. La distribuzione a -80° chiede infatti “un grande investimento”, ha concluso Crisanti. “Vedremo“, è il suo commento. “C’è da dire che non siamo pronti come la Germania, ma la maggior parte degli ospedali italiani ha dei frigoriferi a -80 quindi in una prima fase si potrebbe pensare di usare queste celle in stock”.

Giovanni Bernardi

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Giovanni Bernardi

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