Durante l’udienza, svoltasi nella Biblioteca del Palazzo Apostolico, Papa Francesco ha incentrato la sua riflessione sulla figura del peccatore, per il quale bisogna intercedere.
La figura biblica richiamata a gran voce dalle parole di Papa Francesco è Mosè, che non fu un “condottiero dispotico”, bensì mansueto. Come riporta Vatican News, il Pontefice ha parlato dell’atteggiamento di Mosè, che si pone come esempio per tutti: “Resterà tanto amico degli uomini da provare misericordia per i loro peccati e per le loro tentazioni”.
Papa Francesco ha voluto mettere al centro della sua riflessione la figura biblica di Mosè perché il suo forte senso di paternità, che ebbe per il mondo intero, lo portò ad essere un “intercessore” per la sua gente. Questo, rimarca il Pontefice, è fondamentale, perché tutti appartengono a Dio: dai “più brutti peccatori, alla gente più malvagia, ai dirigenti più corrotti”. E il mondo, allora, “vive grazie alla benedizione del giusto, alla preghiera di pietà e all’intercessione“.
Nel corso dell’udienza, Papa Francesco lancia un monito, richiamando ancora una volta colui che fu guida del popolo ebraico. “Quando ci viene voglia di condannare qualcuno e ci arrabbiamo dentro – sostiene il Papa – pensiamo a Mosè, l’intercessore”. Dalle parole di Papa Francesco traspare poi un concetto fondamentale: se arrabbiarsi può anche far bene, condannare non fa bene. “ Tu ti arrabbi e cosa devi fare? Vai a intercedere per quello”.
La preghiera, per ogni fedele, per ogni credente, deve essere dunque questa. Anche se ogni uomo sperimenta, con la sua personale esperienza, le varie mancanze delle persone, nonché la loro lontananza da Dio, non è bene condannarle. L’atteggiamento dell’intercessione è tipico dei Santi, che, ad imitazione di Cristo, si sono posti come “ponti” fra Dio e il loro popolo.
La fiducia di Dio, ci insegna ancora una volta Papa Francesco, è un vincolo importantissimo per il nostro cammino. Ma non dobbiamo viverla passivamente, siamo noi, infatti a doverci ricordare del “nostro popolo”, delle nostre radici. L’insegnamento di San Paolo, in tal senso, è emblematico.
Quando l’Apostolo delle genti ricorda al giovane Vescovo Timoteo di ricordarsi della mamma, della nonna e di tutte le sue radici, gli chiede, in sostanza, di ricordarsi del suo popolo. Non si deve mai smettere, annuncia con il cuore il Pontefice, di “appartenere a quella schiera di poveri in spirito che vivono facendo della fiducia in Dio il viatico del loro cammino”.
Fabio Amicosante
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