Fine vita nuova legge con molti punti oscuri
Ci troviamo al periodo finale della legislatura dell’attuale governo e sono parecchie ancora le leggi che sebbene presentate non hanno una definizione chiara, tra queste c’è sicuramente quella del trattamento sul fine vita. Il disegno di legge è stato presentato per la prima volta nel 2016, ma si è dovuto scontrare con le diffidenze dei parlamentari su alcuni articoli della legge che tecnicamente non sono molto chiari e lasciano ampio spazio ad interpretazione. Prima della fine di questo ciclo, il testo della legge (riveduto e corretto) verrà sottoposto nuovamente in aula per capire se la nuova redazione ha tenuto conto delle perplessità sorte in questo anno e mezzo e risolto le criticità.
Trattandosi di un ambito molto delicato sia dal punto di vista etico che normativo, perché la legge passi deve essere condivisa, saggia ed tenere conto della piena consapevolezza sulle conseguenze. Di seguito vi proponiamo alcuni stralci di un esauriente articolo di ‘Avvenire’ che mostra quali siano i principali nodi da sciogliere prima dell’approvazione di detta legge sul fine vita.
I dubbi e le perplessità sul disegno di legge sul fine vita
Il primo dubbio riguarda il comma 5 dell’articolo uno in cui il nutrimento del paziente terminale viene definito un “Trattamento sanitario“. Se il punto su cui tutti sono d’accordo è che qualora il nutrimento prolunghi la sofferenza del paziente debba essere interrotto, ciò che solleva dubbi è l’equiparazione del nutrimento del paziente ad un trattamento terapeutico, infatti nell’articolo citato si legge: “L’esperienza delle famiglie dice che anche personale non medico è in grado di praticarle, una volta inserita la cannula”.
Un’altro punto fondamentale è l’accettazione della volontà del paziente che rifiuta il trattamento, d’altronde la legge stessa già sancisce che nessun paziente possa essere obbligato ad accettare un trattamento (Art.32). Il dubbio quindi rimane sulla possibilità di richiedere un trattamento che acceleri la morte del paziente terminale (come nel tanto discusso caso di Dj Fabo): sebbene, infatti, nessuno degli 8 articoli del disegno di legge citi esplicitamente l’Eutanasia, nemmeno la esclude esplicitamente e lo stesso discorso vale per il suicidio assistito. Le due pratiche dunque vengono lasciate in una zona grigia, questo non potrebbe portare a casi limite in cui si supera il rifiuto del trattamento sanitario?
Legato a questo dubbio c’è pure quello della volontà del paziente espressa tramite testamento biologico, sempre su ‘Avvenire’ si legge: “L’articolo 6 ‘sana’ tutti i biotestamenti sinora redatti in qualunque forma e custoditi dalle più diverse realtà (Comuni, notai, medici). Una varietà di moduli – spesso scaricati dal Web, con formulari predisposti anche da associazioni pro-eutanasia – e una pluralità di soggetti che possono rendere impossibile ricostruire la volontà di un paziente, ad esempio, che giunga privo di coscienza in un pronto soccorso: come possono i medici sapere se e come intervenire se non sanno chi e dove custodisce il biotestamento?”.
Al dubbio sulla gestione dei biotestamenti si lega quello etico legato alla possibilità che un paziente cambi idea in punto di morte, sebbene la legge disponga che il biotestamento può essere cambiato in ogni momento, cosa fare nel caso il paziente in questione è affetto da demenza?