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L’accoglienza ai migranti è giusta, ma non risolve i problemi dell’Africa

Questi primi due mesi (scarsi) di governo sono stati caratterizzati principalmente dalle polemiche riguardanti la politica sull’immigrazione. Il fermo diniego all’accoglienza sbandierato a più riprese da Salvini ha risvegliato la coscienza umanitaria del popolo italiano che, di fronte a quella che è percepita da più parti come ingiustizia, si è espresso sui social ed attraverso manifestazioni in piazza per far sì che la chiusura dei porti fosse abbandonata. Chiaramente si tratta di un ottima manifestazione di solidarietà, qualcosa che in un Paese cattolico come il nostro non fa che evidenziare come gran parte della popolazione metta il prossimo e soprattutto il più debole tra le proprie priorità, diverso però il discorso sulle responsabilità di questa emergenza umanitaria che non può esclusivamente essere attribuito al recente governo, visto, d’altronde, che le stragi in mare sono d’attualità da almeno 20 anni.

Migrazione Africana: guerra e grab landing i principali motivi dell’esodo

Bene dunque manifestare in favore dell’accoglienza e dei salvataggi in mare, ma sarebbe forse pratica migliore non soffermarsi solamente a questo aspetto del problema e cercare di avere uno sguardo critico aperto a tutta la complessità del fenomeno. Le morti in mare, infatti, sono solo il risultato di una dinamica politico economica molto più vasta che parte dal fenomeno di neo colonialismo che ha avuto origine dopo la Seconda guerra mondiale e che procede senza sosta anche ai giorni nostri. I governi e le industrie dei Paesi europei, asiatici e americani favoriscono un sistema di sfruttamento delle risorse primarie dell’Africa che ha condotto questi Paesi a vivere in condizioni di estrema povertà. Il così detto “Grab Landing” (o furto delle terre) fa sì che le multinazionali possano sfruttare le terre africane per le coltivazioni acquistando terreni coltivabili e manodopera a basso costo e massimizzando il profitto.

Tale compravendita di terreni è favorita dai governi locali che si accontentano di prendere un misero ritorno economico istantaneo invece di investire nella produzione e nella crescita del Paese. Questo spesso viene fatto senza il consenso di chi quelle terre le abita e storicamente le utilizza per nutrire e far crescere la propria famiglia e la comunità. In questo modo viene tolto un mezzo di sostentamento ai residenti che, senza futuro e prospettive, si vedono costretti a tentare la traversata. A questo si aggiungono le guerre d’interesse foraggiate dai governi esteri per avere talune volte rapporti esclusivi di commercio con i governi che si andranno ad insediare, altre il controllo di giacimenti di petrolio o materie prime di grande risalto.

Insomma i problemi dell’Africa sono numerosi e nella maggior parte dei casi generati dagli stessi Paesi che vogliono far passare la migrazione come un tentativo di invasione del proprio territorio. Da questo breve spaccato sui problemi dell’Africa si evince come l’accoglienza non sia una soluzione, ma allo stesso tempo come “aiutarli in casa loro” sia molto più complicato e difficilmente sostenibile per un singolo stato. Il primo passo verso la soluzione dei problemi dovrebbe essere l’instaurazione di governi autoctoni che decidano di espropriare le terre alle multinazionali estere per favorire la crescita del Paese che le ospita. Qualcosa di molto simile è stato fatto di recente in Sud Africa e un piano simile è nelle idee di Weah per la Liberia. Spendere per la crescita del mercato e dell’economia interna è il primo passo per dimostrare alla popolazione che può esserci un futuro e che non è necessario scappare per crearne uno. Nel frattempo sì, l’accoglienza dovrebbe essere il minimo che i governi europei dovrebbero offrire a quelli che, a causa di guerre e multinazionali, sono costretti a vedersi negato il proprio diritto a non emigrare.

Luca Scapatello

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Luca Scapatello

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