Il nazismo e le “vite indegne di essere vissute”: l’Aktion t4

Il nazismo e le “vite indegne di essere vissute”: l’Aktion t4
i precedenti legislativi della moderna eutanasia

Aktion t4 è il nome in codice della politica eugenetica dei nazisti verso le “vite indegne di essere vissute”, cioè persone colpite da varie forme di disabilità mentale. La sigla è legata all’indirizzo del villino dove questa operazione venne pianificata e implementata, sito a Berlino in Tiergartenstrasse n. 4.

Da un libro di matematica tedesco del 1936:

“Il mantenimento di un ammalato mentale costa circa 4 marchi al giorno, quello di uno storpio 5,5 marchi, quello di un criminale 3,50. Molti dipendenti statali ricevono solo 4 marchi al giorno, gli impiegati appena 3.5, i lavoratori manuali nemmeno 2 marchi al giorno. Illustrate queste cifre con un diagramma. Secondo stime prudenti sono 300mila i malati mentali, epilettici, ecc. di cui si prende cura lo Stato. Quanto costano in tutto queste persone a 4 marchi a testa? Quanti prestiti matrimoniali a 1000 marchi l’uno potrebbero venir concessi sfruttando questo denaro?”

Se avete letto l’articolo dedicato alle politiche di fine vita adottate in Gran Bretagna capirete come 70 anni sembrano essere passati invano[1]; non a caso l’Aktion t4 è stata spesso evocata da più parti nei giorni in cui le autorità inglesi decidevano di interrompere le cure sul piccolo Alfie Evans.

Andiamo per ordine: Hitler, ispirato da preesistenti teorie basate su una visione darwinista della società per le quali solo i più forti e più adatti hanno diritto alla sopravvivenza, dà il via già nel luglio del 1933 (appena 4 mesi dopo le elezioni che videro vincitori i nazisti) ad una sterilizzazione di massa rivolta a persone colpite da handicap e/o malattie mentali, non sempre diagnosticate con sufficiente accuratezza. Da notare che la legge in questione venne furbescamente promulgata 5 giorni dopo la firma del Concordato con la Chiesa cattolica: temendone la reazione e le possibili ritorsioni, Hitler rinviò di pochi giorni il programma volto alla eliminazione dei caratteri ereditari giudicati malsani, inidonei, da estirpare una volta per tutte dal profilo genetico della razza ariana. Secondo alcuni studi, il numero di persone sterilizzate ammonta ad una cifra ragguardevole, oscillante tra le duecentomila e le trecentocinquantamila persone.

Tuttavia, come noi “retrogradi cattolici” diciamo spesso, a certi fenomeni non è possibile porre un limite: infatti la sterilizzazione di massa fu solo la premessa dello sterminio dei disabili, che fu avviato però solo con lo scoppio della II° guerra mondiale. Questo perché si temeva l’opposizione dell’opinione pubblica, che sarebbe stata invece distratta da altro nel corso degli eventi bellici. Infatti, sin dalla fine dell’estate del 1939, prima i bambini colpiti da malformazioni gravi e incurabili (ricorda qualcuno?), poi gli adulti tenuti nei manicomi vennero sottoposti ad uno sterminio sistematico, crescente. Da notare come i costi e i tempi legati all’impiego di iniezioni letali, il mezzo utilizzato inizialmente per uccidere questi indesiderati figli del Reich, venne sostituito dal monossido di carbonio: i nazisti apprezzavano la velocità e l’efficienza di esecuzione di questa tecnica e i suoi bassi costi. Furono così alcuni manicomi (6 strutture attrezzate distribuite fra Germania e Polonia) i primi luoghi a sperimentare questa tecnica micidiale di eliminazione di massa: qui nacquero le camere a gas, prima che ad Auschwitz. Così, l’esperienza accumulata sui disabili permise poi la massima efficienza devastatrice nei campi di sterminio.

Allora come oggi, la propaganda assunse un’importanza particolare, specie quello che all’epoca si chiamava cinematografo. Era un’epoca in cui non esisteva la tv e ci si radunava tutti insieme per vedere i film, di solito preceduti da telegiornali o brevi documentari. Diversi cortometraggi aventi a tema la selezione della specie, la sopravvivenza del più forte e dei danni causati dalle politiche adottate in precedenza verso i disabili vennero proiettati negli anni ’30 e visti (e rivisti) da milioni di tedeschi. L’apice della propaganda venne toccato da un film vero, intitolato “Io accuso” (Ich klage an) del 1941. La trama ricorda in maniera inquietante alcuni film di oggi (avete presente i recenti “Il mare dentro” o “Million dollar baby”?): in questo caso la protagonista è affetta da una forma di sclerosi multipla e, dopo aver disperatamente provato diverse terapie, di fronte all’aggravarsi della situazione chiede al marito di ucciderla somministrandole una sostanza letale. L’uomo viene in seguito arrestato e processato, ma giudicato infine non colpevole dalla Corte. Anche oggi vengono realizzati film sull’argomento, con trama pressoché simile; in paesi come la Gran Bretagna la vicenda di Alfie Evans ha scoperchiato il vaso di Pandora… Il tutto sta a capire se siamo ancora capaci di fare 1+1…

Perché serviva un film? Perché l’opinione pubblica era inquieta, e in parte non accettava questa politica di sterminio. Quello che accadeva in alcuni manicomi non era più occultabile: coloro che risiedevano vicino a queste strutture vedevano infatti arrivare i treni (o autobus) con decine di malati, e dopo poco del fumo nero uscire dalle ciminiere delle stesse strutture… Quando questa scena si ripetè più volte, le domande iniziarono a sorgere spontanee, e con esse le agghiaccianti risposte[2]. Fu la Chiesa cattolica la principale antagonista a queste politiche: più vescovi avevano ribadito la loro opposizione netta, ferma, senza se e senza ma, a queste politiche (la stessa risolutezza che hanno oggi i loro successori verso chi non vuole pagare la Kirchensteuer). In particolar modo il vescovo di Münster, Clemens von Galen, oppositore di lungo corso del regime nazista, intraprese una battaglia per far cessare l’Aktion t4 e, almeno pubblicamente, vi riuscì. Hitler infatti, temendo di perdere l’entusiasmo e lo slancio delle truppe di fede cattolica, ufficialmente sospese il 24 agosto del 1941 il programma di sterminio di massa dei disabili. Fino a questo momento, l’Aktion t4 aveva provocato la morte di oltre settantamila persone, ma le uccisioni di massa di fatto proseguirono fino alla fine della guerra. Il numero definitivo è ancora ignoto, ma supera probabilmente il doppio dei dati ufficiali. Dalla sterilizzazione all’eliminazione prima dei bambini deformi poi degli adulti disabili, e poi ebrei, oppositori, rom… Una volta innescato il meccanismo, chi può dire quando una vita è degna di essere vissuta?

Un passaggio di un’omelia (una fra le tante) del vescovo di Münster merita di essere qui ricordata, visto il suo carattere di estrema attualità:

« Hai tu, o io, il diritto alla vita soltanto finché noi siamo produttivi, finché siamo ritenuti produttivi da altri? Se si ammette il principio, ora applicato, che l’uomo improduttivo possa essere ucciso, allora guai a tutti noi, quando saremo vecchi e decrepiti. Se si possono uccidere esseri improduttivi, allora guai agli invalidi, che nel processo produttivo hanno impegnato le loro forze, le loro ossa sane, le hanno sacrificate e perdute».
(Omelia presso la chiesa di San Lamberto, 3 agosto 1941.)

Alessandro Laudadio

[1] https://www.lalucedimaria.it/non-solo-alfie-e-charlie-a-migliaia-sono-morti-nello-stesso-modo/.

[2]Si veda su questo https://www.youtube.com/watch?v=5E0qCFor2UA, specie dopo il minuto 18:50. Il documentario nel complesso offre una buona panoramica sull’argomento.

 

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