Fase 2, le difficoltà delle famiglie a gestire figli e smart-working

La questione delle famiglie, durante il coronavirus, è diventata una vera emergenza sociale purtroppo quasi totalmente dimenticata dalla politica. 

La famiglia è stata l’unica vera risposta alla crisi sanitaria, o solo grazie all’unità del nucleo familiare si è riusciti ad affrontare il dramma del lockdown nel migliore dei modi. Purtroppo però i dati parlano di un’emergenza nell’emergenza, quella di oltre 6,2 milioni di mamme con almeno un figlio minorenne.

Il rapporto su maternità e lavoro. Le difficoltà delle famiglie

La cui condizione, come emerge dal rapporto di Save the Children dal titolo “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2020”, è spesso fortemente difficile. Il carico di cura che richiede la famiglia, sommato alla difficoltà legata al proprio lavoro, diventa in alcuni casi insostenibile. Con la crisi del coronavirus, e i bimbi a casa, lo è diventato ancora di più.

Senza uno sforzo da parte della politica che permetta l’integrazione di maternità e lavoro, difficilmente le due riescono a stare insieme, così molto mamme si trovano a dover fare una scelta netta. O i figli o la carriera. Con il coronavirus, tre milioni di madri lavoratrici con un figlio minore dei 15 anni, che sono il 30 per cento delle occupate totali, hanno visto la propria vita diventare un inferno.

Una donna in difficoltà mentre lavora al pc durante il coronavirus – sourceweb

Le difficoltà delle donne italiane a coniugare professione e famiglia

Lavoro costante, magari in smart-working, e cura dei bambini contemporaneamente, non è stato affatto semplice. Come noto, per via della tragica crisi demografica, le madri in Italia sono sempre meno giovani. L’età media per il primo figlio è ormai diventata 32 anni, il dato più alto in tutta Europa. Di queste, il 57 per cento tra i 25 e 54 anni è occupata, contro l’89 per cento dei padri. Alcune per scelta, ovviamente più che legittima e sacrosanta, altre invece per necessità.

Solo un bambino su quattro frequenta un servizio socio-educativo per la prima infanzia, e anche in questi casi le mamme sono comunque costrette a modificare alcuni aspetti del proprio lavoro per conciliarlo con la vita privata. Il 18 per cento delle donne ammette di avere dovuto modificare il proprio orario di lavoro. Da qui si capisce perché in Italia oggi si fanno così pochi figli. Perché voler portare avanti entrambe diventa, purtroppo, una difficoltà terribile.

I dati della crisi del coronavirus su famiglie e smart-working

L’analisi di Save the Children intervista circa un migliaio di mamme italiane, e soltanto il 44 per cento ammette di aver potuto continuare la propria attività alla stessa maniera. Spesso è necessaria una stanza separata da figli e mariti per permettersi di lavorare ugualmente. Durante il coronavirus, 3 mamme su 4 hanno visto il carico di lavoro domestico incrementato, legato se non ai figli anche ai genitori anziani e non autosufficienti.

I piccoli sono stati costretti a stare chiusi in casa mentre in genitori lavoravano in smart-working – sourceweb

Solo una mamma su cinque ha visto questo periodo di crisi come una possibilità per per riequilibrare ripartizione del lavoro domestico. Le misure inoltre stabilite dalla politica, con i decreti Rilancio e Cura Italia, hanno riguardato un numero complessivo estremamente ridotta. I dati dicono che solo 242mila lavoratori e lavoratrici hanno richiesto il congedo previsto per genitori con figli di età inferiore ai 12 anni.

Le richieste irrisorie dei bonus (minimi) per la crisi

93mila sono state le richieste del bonus baby sitter alternativo al congedo, per un massimo tra l’altro di 600 euro. Numeri irrisori quindi rispetto al totale. Molti genitori semplicemente si occupavano dei figli tornati dal lavoro, e nelle altre ore si organizzavano come meglio hanno potuto. Ma la questione si pone in maniera ancora peggiore con la fase tre. 

“Con l’avvio della fase tre, le più penalizzate rischiano di essere le madri lavoratrici, circa il 6% della popolazione italiana. Con la mancata riapertura dei servizi per la primissima infanzia molte donne, soprattutto quelle con retribuzioni più basse e impiegate in settori dove è necessaria la presenza fisica, rischiano di dover decidere di non rientrare al lavoro, aggravando la già difficile situazione dei livelli occupazionali femminili italiani”, spiega la responsabile Politiche per l’infanzia di Save the Children Antonella Inverno.

L’appello: serve un piano straordinario per l’infanzia

“Per quelle che invece potranno lavorare in smart working, è forte il rischio di un carico eccessivo di lavoro e di cura”. E “non è solo la chiusura dei servizi per la prima infanzia a preoccupare le madri, ma anche la gestione della didattica a distanza, che soprattutto per le scuole primarie necessita di un continuo supporto da parte di un adulto a casa, e soprattutto la gestione del carico emotivo dei figli, ancora oggi dimenticati dalla politica nella fase della ripartenza”, spiega ancora.

L’appello di Save the children: serve un piano straordinario per l’infanzia – sourceweb

“È necessario adottare al più presto un Piano straordinario per l’infanzia e l’adolescenza, che metta al centro i diritti dei minorenni, perché le famiglie non devono essere lasciate sole ad affrontare le sfide educative e sociali che la crisi sanitaria ha imposto”.

Giovanni Bernardi

fonte: romasette.it

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