Campione di rugby lascia tutto per diventare sacerdote

Dall’amore per lo sport, all’amore per Gesù: il passo non è stato così breve. La vocazione che arriva in un momento particolare.

don matteo olivieri
don Matteo Olivieri – photo: corriere del veneto

Lui era un giocatore di rugby di Serie A1, ma Dio aveva ben altri progetti per lui. Quella chiamata alla quale non si poteva dire di no, anche a costo di rinunciare ad una carriera sportiva ormai decollata. Una storia che fa capire come Gesù chiama davvero chi ama.

Dal rugby alla tonaca

Matteo, ora è un sacerdote, ma prima giocava a rugby. Sembrerebbe il titolo di una canzona, invece è una storia vera. Dalla serie A del suo sport, alla canonica. Due mondi completamente diversi che si sono uniti, ora, in una sola persona.

Lo scorso 22 maggio, Matteo Olivieri è stato ordinato sacerdote. Lui che, prima, giocava nel Cus Verona di A1. Sono in molti coloro che l’hanno definito il “prete rugbista” ma lui, dal canto suo, si sente semplicemente un uomo di Dio nella sua vigna: “No no, nessuna stravaganza, bisogna testimoniare il Signore, non se stessi. L’abito, nel senso del ruolo, è importante, altrimenti si rischia di diventare, anche involontariamente, una caricatura e poi succede che il messaggio vero, quello di Gesù Cristo, passa lateralmente” – commenta, in un’intervista il neo sacerdote.

La vocazione di Matteo, giocatore di rugby, arriva in Francia

Ma quando è arrivata la sua vocazione? Ancora quando aveva in mano la palla ovale. Ebbene sì: Matteo ha anche militato nella quarta divisione del rugby a Nimes, in Francia. È lì che ha cominciato a sentire che “qualcuno” lo stava chiamando ad un progetto molto più grande. “Lavoravo come educatore in un internato di un liceo, perché a quei livelli mica ci vivi col rugby […] Dovevo tenere dentro i vestiti il tau e qualsiasi altro segno religioso. Non andavano mostrati mai” – racconta.

Come è nata la sua vocazione?

In Francia, patria dell’Illuminismo e della razionalità, Matteo sente la sua chiamata: “Era l’autunno del 2013, ottobre o novembre, non ricordo, non me lo sono mai segnato. Era sera e lessi un passo del Vangelo, questo: “Che giova infatti all’uomo conquistare il mondo intero se poi perde l’anima sua”.

Appoggiai il Vangelo sul comodino e mi dissi “teniamolo lì per un po’ e facciamo passare un po’ di tempo”. Mi stava scoppiando tutto dentro: capii che sebbene fino ad allora avessi raggiunto tutti gli obiettivi che mi ero prefissato, sia nello studio che nello sport, non ero realizzato. Mi sentivo smarrito. Così a marzo tornai in Italia, ed entrai in seminario”.

“Volevo fare il magistrato”

Nei progetti di Matteo, oltre il rugby c’era anche il voler diventare magistrato: “Così mi sono laureato in Giurisprudenza e mi ero pure iscritto al concorso, che però non ho mai consegnato. Il fatto è che non volevo passarlo, sennò poi non avrei avuto la serenità giusta per riflettere sull’opportunità di entrare in seminario” – continua nell’intervista.

La paura di dirlo ai genitori, quella voce che diventa dentro di se sempre più insistente, fino ad arrivare alla conferma che quella era la sua di strada. L’aver lasciato il rugby, però, non gli ha lasciato l’amaro in bocca: “Uno sport meraviglioso, senza retorica è il più collettivo che esista. Ci sono assonanze con il sacerdozio, pur restando ovviamente il rugby un gioco” – commenta don Matteo.

Una scelta di vita forte ma, come sappiamo, Dio chiama sempre chi ama. E Matteo era fra questi.

Fonte: corriere del veneto

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ROSALIA GIGLIANO

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