Pochi giorni fa è giunta da Israele la sensazionale notizia di una scoperta che potrebbe mettere a tacere una volta per tutte le voci sulla poca attendibilità storica delle vicende narrate nei Vangeli. Un’equipe archeologica al lavoro nel sito di Herodion (a breve distanza da Gerusalemme), luogo in cui nel 2015 è stato trovato il palazzo di Erode (luogo in cui si tenne il processo a Gesù Cristo), ha infatti rivenuto un anello contrassegnato con l’effige di un calice di vino e una scritta in greco che tradotta ha dato il nome “Pilato“. A dare la notizia del ritrovamento è stato il quotidiano locale ‘Haaretz‘.
Secondo quanto affermato dallo scopritore dell’anello, il professor Schwarz, si tratterebbe di una specie di sigillo di uso giornaliero. Lo stesso archeologo a capo dell’equipe ha dichiarato che ci sono pochi dubbi sul fatto che l’anello appartenesse proprio al prefetto romano: “Quel nome era raro nell’Israele di quei tempi. Non conosco nessun altro Pilato di quel periodo e l’anello mostra che era una persona di rango e benestante”. La scoperta è un’altra conferma dell’esistenza storica di Pilato, ricordato oltre che nei Vangeli anche nelle opere storiografiche di Tacito, di Filone e di Flavio Giuseppe.
Sebbene i dubbi sull’esistenza di Ponzio Pilato e sul suo ruolo di “Governatore” della Giudea siano ormai pochi, permangono ancora dubbi sul fatto che il prefetto romano volesse opporsi alla crocifissione di Gesù e che siano stati i dotti ebraici a pretenderla. A dare forza all’ipotesi descritta dai vangeli c’è la tesi di due eminenti studiosi come Evans e Wright che spiegano che la riluttanza del governatore non era certo da attribuire alla pietà che provava nei confronti del condannato, bensì al timore che una crocifissione del Messia di Galilea potesse generare dei disordini sociali.
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Luca Scapatello
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