E’ lecito riammettere alla comunione Separati e Risposati? Alla luce del Vangelo.

sinodo

 

Tratto da un’intervista con l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia rilasciata a:

GIACOMO GALEAZZI CITTÀ DEL VATICANO

 

Non si era mai verificata una simile partecipazione attiva da parte dei fedeli ad una serie di dibattiti afferma monsigor Paglia a  Vatican Insider l’arcivescovo  presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia agli incontri organizzati per discutere sui documenti prodotti dal Sinodo straordinario sulla Famiglia.

Nelle diocesi e nelle parrocchie si stanno intensificando gli incontri su questa tematica molto delicata che sta a cuore a molti  credenti infatti le statistiche sulla partecipazione ai dibattiti è insolitamente alta rispetto allo standard normale. Allora la domanda sorge spontanea monsignore secondo lei perché?
«Non c’è dubbio che l’interesse dei fedeli (e non solo) sul tema del Sinodo è altissimo. Molte diocesi italiane e anche fuori hanno invitato anche me a presentare la Relazione finale per continuare a riflettere su quanto è stato già deciso dai vescovi. Ma il metodo sinodale effettivo che papa Francesco ha voluto avviare risponde in maniera eccellente al quel sensus fidei che senza dubbio entra non solo nel metodo ma anche nel contenuto del dibattito. Credo sia indispensabile porre attenzione alle riflessioni che salgono dalle Chiese locali. E la Segreteria del Sinodo è consapevole della preziosità di quanto sta avvenendo».

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Seguendo uno schema di domande precise che  il Papa ha formulato attraverso dei questionari distribuiti durante il sinodo straordinario che cercano risposte in merito all’opportunità o meno di riammettere i divorziati ai sacramenti.

Ritiene che la sessione ordinaria del prossimo autunno proseguirà lungo una linea di apertura?

«Il metodo sinodale non è neutro rispetto al contenuto; al contrario ne è parte integrante. C’è una speciale grazia dello Spirito quando i fedeli si ritrovano nel suo nome a riflettere sui temi della vita cristiana. La scelta del Papa di offrire subito alle Chiese locali le risoluzioni dell’ottobre scorso significa due cose. Anzitutto la indispensabile recezione di quanto è stato deciso: c’è già quindi una solida base di avvio. E poi si chiede ancora un’ulteriore riflessione sulle linee già tracciate. È ovvio pertanto che si prosegua su quanto già tracciato. Il dibattito, le riflessioni sono importanti sia per allargare i temi sia per allargare il consenso».

Di fronte alle diverse correnti di pensiero come quelle del prefetto della Dottrina della Fede, Gerhard Ludwig Müller che ha ribadito che non ci si può aspettare dal Sinodo stravolgimenti della fede perché «non siamo padroni della dottrina», mentre il cardinale Lorenzo Baldisseri ha sottolineato la necessità di consentire alla discussione sinodale di sviluppare tutte le sue potenzialità. Secondo lei è giusto nutrire tutte queste aspettative in alcuni casi eccessive sulla tematica della famiglia?

« E’ evidente che se per un verso non si può “stravolgere la dottrina”, per l’altro è sempre esistita nella Chiesa – che non è un museo, ma un corpo vivo -, quel che viene chiamato il “progresso del dogma”, ossia l’approfondimento, l’allargamento della dottrina. San Giovanni XXIII, con grande sapienza pastorale, a chi gli rimproverava alcune aperture, rispondeva: “Non è il Vangelo che cambia, siamo noi a comprenderlo meglio”. Il Sinodo, in tutto il suo procedere e quindi comprese anche le attese e le speranze dei fedeli e anche di tutti gli uomini, è esattamente proprio questo impegno a riproporre la dottrina di sempre con un linguaggio che sia comprensibile agli uomini e alle donne del nostro tempo. È l’affascinante e arduo cammino della Chiesa nel corso del tempo».

Da tempo immemore non si ricorda una così alta partecipazione dei fedeli chiamati ad un dibattito all’interno della chiesa, forse questo è il motivo che ha spinto il Papa ha indire due sinodi sulla stessa tematica cioè la famiglia. Cosa ne pensa monsignor Paglia?
«Per questo penso che siamo in un momento provvidenziale della storia della Chiesa. Un vero e proprio “kairòs”. E sono convinto che la crisi che stiamo vivendo, anche nel versante della famiglia, può essere una crisi di crescita. Dipende da noi, ovviamente. Si tratta infatti di favorire modelli rinnovati di famiglia: ossia una famiglia più consapevole di sé, più rispettosa del suo legame con l’ambiente circostante, più attenta alla qualità dei rapporti interni, più interessata e capace di vivere con altre famiglie. Potremmo dire: se da una parte c’è meno famiglia, in senso quantitativo, dall’altra c’è bisogno di più famiglia, in senso qualitativo. Del resto nessun’altra via è stata trovata per la piena umanizzazione di coloro che nascono alla vita. C’è da essere molto più cauti nell’indebolire questa unità fondamentale che resta non solo l’architrave della vita sociale, ma che può evitare le derive disumane di una società iper-tecnica e iper-individualista. La famiglia rimane – potremmo dire anche grazie ai suoi difetti e limiti – il luogo della vita, del mistero dell’essere, della prova e della storia. La sua unicità la rende un incredibile e insostituibile patrimonio dell’umanità».

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