Udienza Generale 10 settembre 2025, Papa Leone XIV: quando il grido è gesto di speranza

Il Santo Padre Leone XIV all’Udienza Generale del mercoledì ha illustrato il significato del grido di Gesù sulla croce e della speranza dietro ogni grido rivolto a Dio con umiltà.

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Papa Leone XIV all’Udienza Generale – lalucedimaria.it

Il grido di Gesù e il nostro gridare a Dio: è il tema della catechesi di oggi 10 settembre svolta da papa Leone XIV durante l’Udienza Generale del mercoledì in piazza San Pietro. Davanti ad una folla di pellegrini giunti da ogni parte del mondo per il consueto incontro con il pontefice in una Roma nuvolosa e con una leggera pioggia, papa Leone XIV ha analizzato un tema molto importante.

Partendo dal brano evangelico della morte in croce del Signore e delle ultime parole pronunciate da Gesù, in particolare dal grido: Eloì, Eloì, lemà sabactàni” (“Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato”) ha tracciato un’analisi di quel grido e del grido in sé, ovvero della preghiera che si rivolge a Dio nei momenti di maggior dolore.

Udienza Generale di papa Leone XIV: quando il grido è gesto di speranza

Contemplando la morte in croce del Signore il papa ha notato che Gesù non è morto in silenzio, spegnendosi senza parlare. Ma ha lasciato la vita con un grido. Il Vangelo ci dice infatti “dando un forte grido, spirò“. Quel grido racchiude tutto, osserva il pontefice: “dolore, abbandono, fede, offerta“.

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Papa Leone fa la catechesi all’Udienza Generale – lalucedimaria.it

La domanda che precede questo grido, il primo verso del Salmo 22, ripetuto da Gesù, quella richiesta. “Dio mio, perché mi hai abbandonato“, esprime l’esperienza del silenzio, dell’assenza, dell’abisso del dolore. Papa Leone ci tiene a specificare che “non si tratta di una crisi di fede, ma dell’ultima tappa di un amore che si dona fino in fondo“.

Continua spiegando che “il grido di Gesù non è disperazione, ma sincerità, verità portata al limite, fiducia che resiste anche quando tutto tace“.

L’esempio della prima professione di fede

Davanti a questo Dio che si manifesta in un uomo straziato è il centurione, un pagano, a riconoscerlo, a comprendere che ha davanti il Signore da quanto ha visto. La sua affermazione “davvero quest’uomo era Figlio di Dio” è la prima professione di fede dopo la morte di Gesù, dice il papa. “È il frutto il un grido che non si è perduto nel vento, ma ha toccato un cuore“, aggiunge.

Prosegue poi analizzando il nostro grido umano, espressione di un cuore pieno di emozioni, che può essere un “atto profondo di umanità“. Il Vangelo conferisce al nostro grido un valore immenso ricordandoci che può essere invocazione e non solo qualcosa di scomposto e fuori luogo, dice il papa. Ma per essere tale, e cioè preghiera che sale a Dio, deve provenire da un cuore umile.

Può essere una “forma estrema della preghiera, quando non ci restano più parole“, spiega. Nel gridare può esserci anche la speranza, perché “si grida quando si crede che qualcuno possa ancora ascoltare“. Come il grido di Gesù, che non è stato contro il Padre, ma verso di Lui, con la fiducia che il Padre era lì.

Quindi ciò significa, dice il papa, che “la nostra speranza può gridare, quando tutto sembra perduto” diventando così un “gesto spirituale“, quando arriva il momento della prova estrema.

Grido come preghiera fiduciosa

Trattenere tutto dentro può consumarci, sottolinea il papa, e Gesù ci insegna che possiamo gridare purché sia un grido “sincero, umile, orientato al Padre“, deve nascere dall’amore. In questo modo non viene mai ignorato da Dio.

Il Santo Padre ha poi ricordato ai fedeli della Terra Santa di trasformare il grido di dolore in un una preghiera fiduciosa. E rivolgendosi ai pellegrini di lingua polacca che oggi celebrano la Giornata Nazionale dei Bambini polacchi vittima della guerra, in riferimento alla Seconda Guerra Mondiale, ha esortato a ricordare i bambini dell’Ucraina, di Gaza e delle altre regioni del mondo in cui ci sono guerre.  Ha affidato tutti i bambini a Maria Regina della Pace.

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