Da qualche tempo su Tik Tok sta spopolando una challenge sull’Olocausto che ha scandalizzato e offeso chi si occupa della conservazione della Memoria.
La “competizione” consiste nel truccarsi come un sopravvissuto alla Shoah e inventare storie di dolore e sofferenza nei lager nazisti.
Da qualche anno a questa parte il social d’elezione dei giovanissimi è diventato Tik Tok. Si tratta di un luogo di aggregazione virtuale in cui i partecipanti si cimentano in brevi video tematici. Il successo è dovuto principalmente alle “Challenge”, ovvero delle sfide che vengono lanciate da uno o più ragazzi e che in alcuni casi diventano virali. Tra i fenomeni di questi anni ci sono state sfide innocue come quelle di danza o quelle di doppiaggio delle canzoni, ma non di rado salta fuori qualcosa di meno edificante.
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Di sicuro a questo secondo gruppo di fenomeni appartiene l’Holocaust Challenge. Di fatto consiste in un breve video in cui i partecipanti, truccati come dei sopravvissuti ai lager nazisti e in alcuni casi vestiti con i pigiami a righe, raccontano una finta storia di sopravvivenza. Nel giro di qualche settimana sono spuntate decine di video in cui ragazze recitavano una storia di dolore che non gli apparteneva, come se stessero recitando un copione.
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Le performance attoriali delle ragazze e dei ragazzi sono state ritenute di cattivo gusto da molti ed offensive da parte di altri. In breve ne è nata una polemica che ha portato Tik Tok a disabilitare l’#Holocaust Challenge. Decisivo in tal senso il commento del ‘Memoriale di Auschwitz, nel quale si legge: “Alcuni video sono pericolosamente vicini o hanno già superato la linea di trivializzazione della storia“.
Parole di condanna per il fenomeno sono giunte anche da parte della presidente dell’Unione delle comunità ebraiche Noemi Di Segni. Sulle pagine di Repubblica, questa infatti ha spiegato: “Noi abbiamo la sfida di creare un progetto della Memoria per giovani ma dobbiamo evitare banalizzazione, spettacolarizzazione. Ci vuole complessità, profondità, nozioni ed emozioni. Tutte cose che non si possono elaborare in un micro video”.
Nessuna condanna nei confronti dei ragazzi, il cui intento probabilmente era quello di omaggiare le vittime della Shoah. Tuttavia la Di Segni aggiunge: “E’ vero che questo è il linguaggio dei ragazzi, dei nativi digitali, ma bisogna evitare che si appiattisca tutto in un’emozione che dura solo tre secondi, che poi si spegne”.
Luca Scapatello
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