San Giuseppe Moscati il Santo che ha curato i Napoletani

 

 

SAN GIUSEPPE MOSCATI

 

 

 

“Intorno alla salma di Giuseppe Moscati si è raccolta reverente tutta la cittadinanza, rappresentata in ogni sua classe, dalla più umile alla più eletta. Poche volte Napoli ha assistito a uno spettacolo così imponente nella sua infinita tristezza e che sta a testimoniare quanto affetto, quanta stima ed ammirazione avesse raccolto l’uomo che seppe fare della sua professione un nobilissimo apostolato, che seppe prodigare col benefico soccorso della sua dottrina, la sua bontà impareggiabile alle creature sofferenti, che seppe dimostrare come possano mirabilmente conciliarsi in un animo nobile, la religione e la scienza.”.

Era il giorno del commiato di Giuseppe Moscati (1880-1927, Benevento), che divenne medico per vocazione. Aveva scelto la sua missione con estrema serenità e convinzione: desiderava prendersi cura degli altri, dei malati, con l’aiuto della medicina.

Non faceva nessuna differenza, se provenissero da famiglie ricche o dalla strada; le persone che lo convocavano ad ogni emergenza, ad ogni malanno, dovevano ricevere la sua visita e l’assistenza massima.

Molti ritengono che per l’appartenenza ad una famiglia agiata, per la sua meticolosa e coscienziosa  preparazione e il prestigio che andava accumulando negli anni, avrebbe certamente potuto far carriera e arricchirsi, ma questo non lo allettava affatto, ciò che fece della sua vita fu ben altro, divenne il medico di fiducia di tutti, a Napoli.

Quando consegnava una ricetta, spesso donava anche i soldi per comprare le medicine, se si accorgeva che la famiglia del malato fosse in ristrettezze economiche.

Si occupò anche dei feriti dell’eruzione del Vesuvio del 1906 e dei malati dell’epidemia di colera del 1911, nonché dell’ospedale militare durante la prima guerra mondiale.

Ebbe anche dei pazienti illustri, come il tenore Enrico Caruso e il Beato Bartolo Longo, fondatore del Santuario della Madonna di Pompei.

Era solito, tutti i giorni, riceveva l’Eucarestia, proprio nella chiesa dove ora è sepolto, e questo lo rafforzava nella fede e nelle sue azioni.

Oggi il suo studio è divenuto un luogo di culto e conserva ancora il cappello su cui aveva scritto “Chi ha, metta. Ci non ha, prenda.”.

Questa frase, da sola, racchiude la generosità che colorò la sua vita, fino alla morte. Morì in povertà, alle tre del pomeriggio (come Gesù), ma certo di aver alleviato realmente le sofferenze di tutti coloro che aveva incontrato.

E, anche adesso che non è più con noi, i malati continuano a rivolgersi a lui perché li guarisca.

A Napoli, nella sua chiesa, la Chiesa del Gesù Nuovo, ogni terzo mercoledì del mese si celebra una Messa dedicata ai malati, alla presenza della reliquia del Santo.

Alla sua morte qualcuno disse: “Noi lo piangiamo perché il mondo ha perduto un Santo, Napoli un esemplare di ogni virtù e i malati poveri hanno perso tutto.”.

 

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