Sacerdote muore dopo avere difeso la sua chiesa fino all’ultimo

Voleva proteggere l’antica pieve di san Martino, a Valle di Cadore, sospesa su una rupe che stava franando. Il che preoccupava da tempo il sacerdote, che pensando all’antica pieve non si dava pace in alcun modo.

Un tragico fatto, il sacerdote particolarmente impegnato nella difesa dell’antica chiesa, non ce l’ha fatta.

Don Bortolas
Don Bortolas – photo web source

Don Giuseppe Bortolas aveva 67 anni, ed è stato trovato agonizzante nella canonica dal vescovo di Belluno.

La lotta per la sua antica chiesa fino all’ultimo

Don Giuseppe voleva infatti salvarla in tutti i modi, e il suo desiderio, come quello di tutta la comunità, a questo riguardo era forte. I tanti problemi sia tecnici che finanziari erano molti, e proprio il vescovo monsignor Renato Marangoni era salito da Belluno, fino a Cadore, per incontrarlo e per fare il punto della situazione anche insieme alla sindaca Marianna Hofer.

Però del sacerdote non c’era traccia, nemmeno per la messa vespertina, il che era molto insolito e ha destato una certa preoccupazione. In un primo momento, il vescovo l’ha sostituito. Poi però l’ha subito cercato, insieme anche alle suore, al sacrestano, e poi ai carabinieri e ai vigili del fuoco.

Quando lo hanno trovato era in condizioni molto critiche

Nel momento in cui l’hanno trovato, don Giuseppe era in canonica, in condizioni di ipotermia, colpito da una emorragia cerebrale. Subito sono stati chiamati i soccorsi dal vicino ospedale di Pieve di Cadore, che subito l’hanno accompagnato al ricovero. Ma le sue condizioni di salute erano molto gravi, e subito il vescovo gli ha impartito l’Unzione degli infermi, davanti alla presenza orante dei rappresentanti di tutte le comunità.

Nella mattinata di ieri Don Bortolas è venuto a mancare, proprio dentro l’ospedale di Belluno dov’era stato trasferito. Gli sforzi sono stati vani, non è infatti riuscito a riprendersi, e la vicenda ha sconvolto tutto il territorio. La diocesi di Belluno Feltre lo ricorda infatti come un “uomo molto pratico, solo apparentemente burbero, per il suo carattere buono e generoso ha saputo farsi ben volere e apprezzare ovunque è stato”.

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Il vuoto che ora lascia in parrocchia e tra la sua gente

Ora il vuoto che lascia, nel presbiterio e nelle sue parrocchie, è grande, come ha sottolineato la stessa diocesi, che “si stringe in un abbraccio di solidarietà” con tutta la comunità parrocchiale. Don Giuseppe infatti era parroco di Valle, di Venas, di Cibiana. Anche lì c’è un’altra chiesa su una rupe, proprio come quella di San Martino, piantata su micropali che impediscono alla montagna di franare.

Lunedì 12 aprile alle ore 15 la celebrazione dei funerali, preceduti dalla recita del rosario alle ore 14.30, prima che la salma venga trasferita nel cimitero di Pez, a Cesiomaggiore. Anche il sindaco di Cibiana Mattia Gosetti lo ha ricordato con le sue parole. “Saluto un uomo buono. Un parroco che nella sua semplicità ha saputo arricchirmi, che ha saputo essere guida spirituale e amico. Scherzoso quando era ora di esserlo, severo se necessario e sempre presente”.

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Il ricordo del sindaco e di chi lo ha conosciuto di persona

Continua il sindaco: “La Domenica di Pasqua, quando ti ho incontrato per l’ultima volta (prima che ti addormentassi), mi hai detto “Son proprio felice di vederti”, lo sono stato anche io, tutte le volte. In poco tempo hai dato tanto e ci sono tanti che per questo ti ricorderanno con affetto”.

Purtroppo si tratta del sesto sacerdote che la diocesi di Belluno Feltre ha perso in quattro mesi. Monsignor Giorgio Lise, delegato vescovile per la vita consacrata e rettore del seminario, lo ha ricordato con parole toccanti. 

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“Don Giuseppe era una persona dalla battuta pronta, dal carattere gioviale, penso di poter dire un uomo limpido e umile. Mi fa male, come confratello ed amico, pensare che sia morto da solo. Sembra quasi che da persona molta attenta ai disagi altrui abbia voluto condividere con tante altre persone una morte in solitudine, così come capita a tanti in questo momento di pandemia”.

Giovanni Bernardi

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