Rinunciare alla propria spiritualità, al Natale anche, pare che stia diventando una moda con la scusa di non offendere quella altrui. Una giovane giornalista musulmana ci insegna quanto questo sia “inutile” per tutti.
Notissime aziende -lo sappiamo- hanno deciso di rimuovere i simboli cristiani dai loro marchi; le scuole si sono preoccupate di eliminare i crocifissi, di rendere ibrido l’arredamento scolastico, di evitare le recite natalizie, in nome della massima inclusione.E pare anche che siano sempre i cristiani (anche in altre epoche) quelli pronti a fare un passo indietro, come se il rispetto presupponesse la rinuncia alla propria fede e l’offesa implicasse professarla tranquillamente.
Beh, questa tiepidezza non giova a nessuno, né a noi cristiani, né ai musulmani o ad altre minoranze religiose, anzi confonde, inasprisce, stizzisce.
Ce lo ribadisce anche una giovane giornalista musulmana, Remona Aly: “le loro paure finiscono col danneggiare proprio quelle minoranze che non vorrebbero offendere. Sul serio, per me non è un problema. Se qualcuno pronuncia le parole “albero di Natale”, la mia fede non è affatto compromessa; se sento il Padre Nostro – che conosco a memoria da quando ero bambina – non inizio a sudare freddo. E vi rivelo un altro segreto pazzesco: a un bel po’ di persone che non sono cristiane il Natale piace da morire!”.
Ed ecco come spesso finiamo solo per complicarci la vita, imponendoci delle maschere, delle etichette, delle rinunce che allontanano gli altri da noi e noi dalla comprensione degli altri.
Quando condivido alcuni rituali dello Shabbat con i miei amici ebrei o quando faccio gli auguri per il Diwali ai miei amici Hindu, non perdo affatto il senso di chi io sia; anzi, fortifica ciò in cui credo”. “A me … il Natale piace perché trasmette compassione, speranza, senso di famiglia. Ecco perché auguro a chiunque lo celebri, lo segni sul calendario o addirittura semplicemente lo riconosca, un buon Natale”.
Antonella Sanicanti
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