Perchè nessuno parla più di peccato?

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Ormai è calato un silenzio assoluto sul senso del peccato, non c’è più distinzione tra il bene e il male, tra giusto e sbagliato. Una volta i peccati venivano chiamati col proprio nome, ma adesso in nome della modernità e del laicismo imperante vengono chiamati trasgressioni, mancanze, e vengono fatti passare per la normalità. Così l’aborto che è un crimine che grida vendetta davanti a Dio, è stato fatto passare per una conquista di civiltà, il divorzio che ha distrutto milioni di famiglie come la panacea di tutti i mali. Ormai le persone si sposano e poi se tanto va male c’è sempre il divorzio. Ma la verità non va taciuta, ma va gridata sopra i tetti, bisogna levare la voce perchè Gesù stesso ci dice: 39 Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». 40 Ma egli rispose: «Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre». ( Luca 19, 39-40)

Le parole di papa Francesco ci fanno comprendere appieno quanto sia urgente per noi il ritrovare una morale cristiana più profonda, ritrovare il senso della misura tra il bene e il male che si contrappongono nella nostra esistenza.

 

IL SENSO DEL REGNO DI DIO. Quando si perde il senso del peccato, ha proseguito papa Bergoglio, si smarrisce anche «il senso del Regno di Dio», che viene sostituito dalla presunzione di onnipotenza: «Io posso tutto». Ma la salvezza non verrà da noi, ma da Dio: «La salvezza verrà dalla grazia di Dio e dall’allenamento quotidiano che noi facciamo di questa grazia nella vita cristiana».
Infatti, poiché, come diceva Pio XII, «il più grande peccato di oggi è che gli uomini hanno perduto il senso del peccato», occorre recuperare testimonianze che mostrino il contrario. Per questo papa Francesco ha parlato di tutti coloro «che anche oggi soffrono la nostra mediocrità cristiana, quando noi perdiamo il senso del peccato, quando noi lasciamo che il Regno di Dio cada… Questi sono i martiri dei nostri peccati non riconosciuti. Ci farà bene oggi pregare per noi, perché il Signore ci dia sempre la grazia di non perdere il senso del peccato, perché il Regno non cali in noi. Anche portare un fiore spirituale alla tomba di questi Uria (il marito di Betsabea, ndr) contemporanei, che pagano il conto del banchetto dei sicuri, di quei cristiani che si sentono sicuri».

Giovanni Paolo II aveva fiutato questo pericolo e ci mette in guardia in questa sua bellissima catechesi del 1999.

Guardando ora al mondo contemporaneo, dobbiamo constatare che in esso la coscienza del peccato si è notevolmente affievolita. A causa di una diffusa indifferenza religiosa, o del rifiuto di quanto la retta ragione e la Rivelazione ci dicono di Dio, viene meno in tanti uomini e donne il senso dell’alleanza di Dio e dei suoi comandamenti. Molto spesso poi la responsabilità umana viene offuscata dalla pretesa di una libertà assoluta, che si reputa minacciata e condizionata da Dio legislatore supremo.

Il dramma della situazione contemporanea, che sembra abbandonare alcuni valori morali fondamentali, dipende in gran parte dalla perdita del senso del peccato. Su questo punto avvertiamo quanto grande debba essere il cammino della ‘nuova evangelizzazione’. Occorre restituire alla coscienza il senso di Dio, della sua misericordia, della gratuità dei suoi doni, perché possa riconoscere la gravità del peccato, che mette l’uomo contro il suo Creatore. La consistenza della libertà personale va riconosciuta e difesa come dono prezioso di Dio, contro la tendenza a dissolverla nella catena dei condizionamenti sociali o a staccarla dal suo irrinunciabile riferimento al Creatore.

3. È anche vero che il peccato personale ha sempre una valenza sociale. Mentre offende Dio e danneggia se stesso, il peccatore si rende pure responsabile della cattiva testimonianza e degli influssi negativi legati al suo comportamento. Anche quando il peccato è interiore, produce comunque un peggioramento della condizione umana e costituisce una diminuzione di quel contributo che ogni uomo è chiamato a dare al progresso spirituale della comunità umana.

Oltre a tutto ciò, i peccati dei singoli consolidano quelle forme di peccato sociale che sono appunto frutto dell’accumulazione di molte colpe personali. Le vere responsabilità restano ovviamente delle persone, dato che la struttura sociale in quanto tale non è soggetto di atti morali. Come ricorda l’Esortazione Apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia, “la Chiesa, quando parla disituazioni di peccato o denuncia come peccati sociali certe situazioni o certi comportamenti collettivi di gruppi sociali più o meno vasti, o addirittura di intere nazioni o blocchi di nazioni, sa e proclama che tali casi di peccato sociale sono il frutto, l’accumulazione e la concentrazione di molti peccati personali … Le vere responsabilità sono delle persone” (n. 16).

È tuttavia un fatto incontrovertibile, come più volte ho avuto modo di ribadire, che l’interdipendenza dei sistemi sociali, economici e politici, crea nel mondo di oggi molteplici strutture di peccato (cfr Sollicitudo rei socialis, 36; Catechismo della Chiesa Cattolica,1869). Esiste una spaventosa forza di attrazione del male che fa giudicare ‘normali’ e ‘inevitabili’ molti atteggiamenti. Il male si accresce e preme con effetti devastanti sulle coscienze, che rimangono disorientate e non sono neppure in grado di discernere. Se si pensa poi alle strutture di peccato che frenano lo sviluppo dei popoli più svantaggiati sotto il profilo economico e politico (cfrSollicitudo rei socialis, 37), verrebbe quasi da arrendersi di fronte a un male morale che sembra ineluttabile. Tante persone avvertono l’impotenza e lo smarrimento di fronte a una situazione schiacciante che appare senza via d’uscita. Ma l’annuncio della vittoria di Cristo sul male ci dà la certezza che anche le strutture più consolidate dal male possono essere vinte e sostituite da “strutture di bene” (cfr Ibidem, 39).

4. La “nuova evangelizzazione” affronta questa sfida. Essa deve impegnarsi perché tutti gli uomini recuperino la consapevolezza che in Cristo è possibile vincere il male con il bene. Occorre formare al senso della responsabilità personale, intimamente connessa agli imperativi morali e alla coscienza del peccato. Il cammino di conversione implica l’esclusione di ogni connivenza con quelle strutture di peccato che oggi particolarmente condizionano le persone nei diversi contesti di vita.

Il Giubileo può costituire un’occasione provvidenziale perché i singoli e le comunità camminino in questa direzione, promuovendo un’autentica “metánoia”, ossia un cambiamento di mentalità, che contribuisca alla creazione di strutture più giuste e più umane, a vantaggio del bene comune.

 

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