Perché la Chiesa non metterà mai la prima pietra dell’eutanasia

Una voce chiara e ferma in mezzo all’estrema confusione che dilaga, anche nella Chiesa, sull’eutanasia e il suicidio assistito, uno dei temi caldi del dibattito politico italiano. Ma la questione supera i confini nazionali.

Dalla Francia arriva una chiara presa di posizione contro certe strategie cervellotiche e mollicce.

Jean-Marie Le Méné è il presidente della Fondazione Lejeune, membro della Pontificia Accademia per la Vita (PAV) e del Consiglio Pontificio per la Salute. È anche il genero del servo di Dio Jérôme Lejeune avendo sposato una delle sue figlie (la coppia ha avuto nove figli, onorando a fondo la vita).

Le Méné ha dunque raccolto il testimone del grande genetista francese (in corso di beatificazione), primo presidente della PAV, amico personale di S. Giovanni Paolo II e strenuo difensore della vita umana. È dunque con una certa cognizione di causa che ha impugnato la penna per scrivere un vibrante editoriale intitolato La Chiesa non può approvare la legalizzazione del suicidio assistito (“Le Figaro”, 14 febbraio).

Due articoli che seminano confusione

Il genero di Lejeune intende sconfessare due articoli che «stanno seminando confusione sul suicidio assistito» attualmente in discussione in Italia. Il primo articolo con cui polemizza Le Méné è quello del gesuita Carlo Casalone, pubblicato il 15 gennaio sulla “Civiltà Cattolica” col titolo La discussione parlamentare sul suicidio assistito. Il secondo, La Chiesa cattolica si interroga sull’opportunità del suicidio assistito a firma di Marie-Jo Thiel, membro della PAV (dal 2017) che insegna etica e teologia morale a Strasburgo, è apparso invece il 31 gennaio sul francese “Le Monde” e riprende sostanzialmente quello di padre Casalone.

Il problema è che entrambi, sia il gesuita che la docente universitaria, sono membri della Pontificia Accademia per la Vita e con le loro affermazioni rischiano di legittimare quella che il quotidiano “La Croix” – altro obiettivo polemico di Le Méné – ha definito «la svolta strategica del Vaticano sulla bioetica». Secondo l’interpretazione del giornale francese la Chiesa, sapendo di essere ormai poco o nulla ascoltata su certi temi morali, avrebbe deciso di adottare una strategia – o meglio una tattica, un metodo – del “male minore”. Le prese di posizioni frontali, dirette, non pagano più: la società non le accoglie. Meglio allora, senza rinunciare formalmente ai princìpi della dottrina, collaborare sul piano pratico alla costruzione di una “legge imperfetta” che quantomeno limiti i danni e non faccia passare una legge ancor più malvagia.

L’Italia tra eutanasia e suicidio assistito

Perché tutto questo interesse per la legislazione italiana? Il fatto è che l’Italia sembra essere il primo laboratorio per testare questa «svolta» che, a detta dei suoi propugnatori, non riguarda soltanto il nostro paese ma ha una portata più generale (anche in Francia il tema è caldo e all’ordine del giorno, come prova la dura reazione del più grande scrittore transalpino Michel Houellebecq).

In Italia si è creata poi una situazione del tutto particolare dopo la decisione della Corte Costituzionale che nel 2019 – dopo il caso del suicidio assistito di dj Fabo in Svizzera che aveva portato a processo il radicale Marco Cappato – ha depenalizzato l’aiuto al suicidio quando ricorrono determinate condizioni (*).

Inoltre la decisione della Consulta spinge i parlamentari italiani a legiferare sulla questione del fine vita e questo apre due vie. La prima via consiste nell’autorizzare, a certe condizioni, il fatto che una personae possa aiutare un’altra in fin di vita a mettere fine ai propri giorni (suicidio assistito); la seconda via consiste nel sopprimere, attraverso il referendum, il divieto di «omicidio del consenziente» previsto dal diritto penale italiano, aprendo così un’autostrada per l’eutanasia.

Jean-Marie Le Méné – photo web source

Giocare d’anticipo per evitare il peggio?

Il Parlamento italiano sembra per ora aver scelto la prima opzione avviando, il 13 dicembre 2021, l’esame di un disegno di legge sulla depenalizzazione del suicidio assistito. Nel frattempo, è notizia di questi giorni, è arrivata la bocciatura della Consulta al quesito referendario – proposto dai Radicali dell’immancabile Cappato – che proponeva la parziale abrogazione della norma sull’omicidio del consenziente (art. 579 del codice penale).

Ora, di fronte a questo scenario sempre più voci nella Chiesa sostengono che, dato che una legge sull’eutanasia è inevitabile, meglio sarebbe allora giocare d’anticipo e proporre una “legge imperfetta” – cioè solo parzialmente conforme all’insegnamento morale della Chiesa – con la speranza di essere quantomeno ascoltati e poter quindi arginare i danni.

È una posizione minimalista – per non dire tiepida – condivisa, ahinoi, anche da membri della PAV: dai già menzionati Carlo Casalone e Marie-Jo Thiel, ma anche da don Renzo Pegoraro, cancelliere (cioè numero due) della PAV, che sul solito “La Croix” (7 febbraio) scrive: «Comunque sia ci sarà una legge. E tra queste due possibilità è il suicidio assistito che restringe di più le derive poiché si accompagnerebbe a quattro condizioni stringenti: la persona che richiede l’aiuto [al suicidio] deve essere cosciente e poterlo esprimere liberamente, deve essere affetta da una malattia irreversibile, provare delle sofferenze insopportabili e dipendere da un trattamento di sostegno vitale come un respiratore».

In sostanza, l’argomentazione è questa: l’eutanasia è il male peggiore, il suicidio assistito è il male minore. La conclusione dunque è: buttiamoci sul male minore, cioè sul suicidio assistito.

Una presa di posizione chiara

È dunque molto importante – e bisogna essergli grati per questo – che il successore e genero del grande dottor Lejeune abbia preso una posizione chiara (secondo la logica evangelica del «sì, sì; no, no») sul tema dell’eutanasia ricordando che a) un conto sono le opinioni espresse a titolo personale, un altro è la posizione ufficiale della PAV la quale b) «non può per definizione sostenere posizioni contrarie al magistero della Chiesa, in un ambito in cui, oltretutto, essa non fa che trasmettere una sapienza millenaria».

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Le Méné critica a fondo l’articolo di padre Casalone che «crede di poter trovare nel suicidio assistito un modo per ostacolare la legalizzazione dell’eutanasia. Addurre il male minore a pretesto per sfuggire al male peggiore». Una posizione molto debole quella del gesuita perché non tiene conto che «quando si tollera, è già troppo tardi». E per giunta, il colmo è che l’articolista della “Civiltà Cattolica” invoca a sostegno della propria tesi papa Francesco che invece, ricorda Le Méné, sul tema «è sempre stato chiaro». Come nel corso dell’udienza generale de 9 febbraio scorso, quando il papa ha ricordato che «dobbiamo accompagnare fino alla morte, ma non provocare la morte, né contribuire ad alcuna forma di suicidio».

Il vero insegnamento della Chiesa sulle “legge imperfette”

Quanto all’insegnamento della Chiesa sulle «leggi imperfette», Le Méné rammenta che l’enciclica Evangelium vitae (al punto 73) «precisa che è legittimo votare una legge più restrittiva per sostituire una legge più permissiva, ma solamente se questa legge è già in vigore. Non c’è così alcuna collaborazione con una legge iniqua ma, al contrario, una limitazione dei suoi effetti».

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Nel caso del suicidio assistito il ragionamento del gesuita non fila «in quanto – prosegue Le Méné – si tratterebbe di creare deliberatamente una legge malvagia per evitarne un’altra, ancora a venire, che sarebbe più malvagia». Il punto è che «il suicidio assistito è già una forma di eutanasia. E la legge che si pretende di evitare arriverà ancora più velocemente. Niente e nessuno impedirà di estendere la trasgressione iniziale, che invita la medicina a procurare la morte».

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Un rischio tremendo: assecondare la finestra di Overton

È la logica della cosiddetta finestra di Overton, quella tecnica di persuasione delle masse che, come disse nel 2015 il cardinale Bagnasco, consiste nell’aprire «una finestra mentale che si allarga sempre di più attraverso sei fasi precise» e attraverso la quale «si riesce a far accettare l’introduzione e la successiva legalizzazione di qualsiasi idea o fatto sociale, fosse anche la pratica che, al momento, l’opinione pubblica ritiene maggiormente inaccettabile».

Dunque una simile «svolta strategica» – supremo trionfo della miopia e della sprovvedutezza – altro non farebbe che assecondare la progressione verso il male della finestra di Overton. E pertanto, conclude lo scritto dell’erede di Lejeune. «sarebbe stato più rispettoso non compromettere la Pontificia Accademia per la Vita. I suoi membri, che per statuto sono difensori della vita, non desiderano che si possa anche solo immaginare la Chiesa che pone la prima pietra dell’eutanasia in Italia. Né altrove».

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(*) «[…] la Corte ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli» (Corte costituzionale, Comunicato del 25 settembre 2019).

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