Perché i cattolici “lo fanno” meglio: tutto sul vero piacere coniugale

Spesso si pensa erroneamente che i cristiani, per qualche strana ragione, siano chiamati a rifiutare la carnalità umana persino all’interno del matrimonio. Eppure Dio si incarnato in Gesù, vero Dio e vero uomo, rendendo il divino parte della vita di ogni cristiano.

Non è infatti per niente così, ma bisogna comprendere con attenzione il perché. Quello della “sessuofobia” dei cristiani è un mito che infatti è necessario sfatare, quello cioè in cui si dice che anche il piacere coniugale sia per la Chiesa un peccato.

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Lo dimostrano non solo le tante affermazioni di Papa Francesco nelle sue recenti encicliche e nei vari discorsi, ma anche le parole lontano di uno dei più grandi Papi del secolo scorso. Bisogna tuttavia comprendere con attenzione quale sia il messaggio della Chiesa, e soprattutto in quale direzione punti. La Chiesa è madre è ama i suoi figli in una maniera così grande da desiderare solo ed esclusivamente il suo bene.

Il discorso di Papa Pacelli nel 1951 che spiega molte cose

In un discorso che Pio XII tenne alle ostetriche il 29 ottobre 1951, Papa Pacelli rivelò infatti il senso del piacere coniugale per un cristiano. Il matrimonio, spiegava Pio XII, “come istituzione naturale, in virtù della volontà del Creatore non ha come fine primario e intimo il perfezionamento personale degli sposi, ma la procreazione e la educazione della nuova vita“.

Una premessa necessaria che sfocia nel fatto che “gli altri fini, per quanto anch’essi intesi dalla natura, non si trovano nello stesso grado del primo, e ancor meno gli sono superiori, ma sono ad esso essenzialmente subordinati“. Contando inoltre che “ciò vale per ogni matrimonio, anche se infecondo; come di ogni occhio si può dire che è destinato e formato per vedere, anche se in casi anormali, per speciali condizioni interne ed esterne, non sarà mai in grado di condurre alla percezione visiva”.

Una premessa fondamentale e un distinguo importante sul tema

Infatti, “alla procreazione della nuova vita il Creatore ha destinato nel matrimonio esseri umani fatti di carne e di sangue, dotati di spirito e di cuore, ed essi sono chiamati in quanto uomini, e non come animali irragionevoli, ad essere gli autori della loro discendenza. A questo fine il Signore vuole l’unione degli sposi. Infatti di Dio la Sacra Scrittura dice che creò l’uomo a sua immagine e lo creò maschio e femmina (Gen. I, 27), ed ha voluto — come si trova ripetutamente affermato nei Libri sacri — che «l’uomo abbandoni il padre e la madre, e si unisca alla sua donna, e formino una carne sola» (Gen. 2, 24; Matth. 19, 5; Eph. 5, 31)”.

Tuttavia, c’è un distinguo molto importante da compiere per comprendere quale sia la Dottrina cristiana sull’unione sponsale e sul piacere dell’amore coniugale, che è elemento imprescindibile per l’unione dei due sposi.

C’è molto di più che una pura funzione “organica” nell’amore coniugale

“Ridurre la coabitazione dei coniugi e l’atto coniugale ad una pura funzione organica per la trasmissione dei germi sarebbe come convertire il focolare domestico, santuario della famiglia, in un semplice laboratorio biologico“, specificava infatti Pio XX. Da cui ne derivava, tra l’altro, una ferma presa di posizione, il 29 settembre 1949 al Congresso internazionale dei medici cattolici, contro la fecondazione artificiale.

C’è infatti molto di più che una pura funzione “organica” nell’amore coniugale. “Quello stesso Creatore, che nella sua bontà e sapienza ha voluto per la conservazione e la propagazione del genere umano servirsi dell’opera dell’uomo e della donna, unendoli nel matrimonio, ha disposto anche che in quella funzione i coniugi provino un piacere e una felicità nel corpo e nello spirito. I coniugi dunque nel cercare e nel godere questo piacere, non fanno nulla di male. Essi accettano quel che il Creatore ha loro destinato”, affermava con certezza il Papa.

La consapevolezza necessaria per rifuggire la cultura edonistica

Ma c’è anche, allo stesso tempo, una consapevolezza necessaria per la coppia a rifuggire quella cultura del piacere edonistico fine a sé stesso in cui, purtroppo, siamo costantemente immersi e bersagliati di messaggi che vanno in tale direzione.

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I coniugi debbono sapersi mantenere nei limiti di una giusta moderazione. Come nel gusto dei cibi e delle bevande, così in quello sessuale, essi non debbono abbandonarsi senza freno all’impulso dei sensi”, commentava il Papa. Considerando che “pur troppo ondate incessanti di edonismo invadono il mondo e minacciano di sommergere nella marea crescente dei pensieri, dei desideri e degli atti tutta la vita matrimoniale, non senza seri pericoli e grave pregiudizio dell’ufficio primario dei coniugi”.

Un edonismo anti-cristiano che spesso lo si erge a dottrina

Questo edonismo anticristiano troppo spesso non si arrossisce di erigerlo a dottrina, inculcando la brama di rendere sempre più intenso il godimento nella preparazione e nella attuazione della unione coniugale; come se nei rapporti matrimoniali tutta la legge morale si riducesse al regolare compimento dell’atto stesso, e come se tutto il resto, in qualunque modo fatto, rimanga giustificato dalla effusione del reciproco affetto, santificato dal sacramento del matrimonio, meritevole di lode e di mercede dinanzi a Dio e alla coscienza. Della dignità dell’uomo e della dignità del cristiano, che mettono un freno agli eccessi della sensualità, non si ha cura”.

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Parole che anticipavano una triste deriva che oggi è realtà diffusa, quella del consumismo edonistico o della mercificazione del corpo umano e dei rapporti sessuali, addirittura sfociata nelle teorie gender e dell’indifferentismo sessuale, che Benedetto XVI non ha esitato a definire “anti-cristiche”. “Ebbene, no. La gravità e la santità della legge morale cristiana non ammettono una sfrenata soddisfazione dell’istinto sessuale e di tendere così soltanto al piacere e al godimento”, spiegava Pio XII. “Essa non permette all’uomo ragionevole di lasciarsi dominare sino a tal punto, né quanto alla sostanza, né quanto alle circostanze dell’atto”.

Una regola che non ha a che fare con morali e divieti ma con la felicità

Una regola che però, è fondamentale sottolinearlo, ha a che fare non con morali e divieti, ma con la felicità stessa della coppia di sposi, e quindi della famiglia nel suo complesso. “Si vorrebbe da alcuni addurre che la felicità nel matrimonio è in ragione diretta del reciproco godimento nei rapporti coniugali. No: la felicità nel matrimonio è invece in ragione diretta del vicendevole rispetto fra i coniugi, anche nelle loro intime relazioni; non già ,quasi che essi giudichino immorale e rifiutino quel che la natura offre e il Creatore ha donato, ma perché questo rispetto, e la mutua stima che esso ingenera, è uno dei più validi elementi di un amore puro, e per ciò stesso tanto più tenero”.

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Pio XII – photo web source

La conclusione del Papa è quindi chiara. “La retta norma è dunque questa: l’uso della naturale disposizione generativa è moralmente lecito soltanto nel matrimonio, nel servizio e secondo l’ordine dei fini del matrimonio medesimo. Da ciò consegue che anche soltanto nel matrimonio e osservando questa regola, il desiderio e la fruizione di quel piacere e di quella soddisfazione sono leciti. Poiché il godimento sottostà alla legge dell’azione, dalla quale esso deriva, e non viceversa, l’azione alla legge del godimento“.

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Altrimenti, “il Creatore avrebbe adottato un altro disegno nella formazione e costituzione dell’atto naturale”, che è infatti “tutto subordinato e ordinato a quell’unica grande legge della «generatio et educatio prolis», vale a dire al compimento del fine primario del matrimonio come origine e sorgente della vita”.

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