PENSAVO FOSSE AMORE INVECE ERA NAZISMO

PENSAVO FOSSE AMORE INVECE ERA NAZISMO
selezione della “razza”…..umana

“PENSAVO FOSSE AMORE INVECE ERA NAZISMO” sembra un titolo di un film tra il drammatico e l’horror, invece è la cruda realtà dei nostri giorni.

La storia del piccolo Alfie ha aperto il velo di ipocrisia che si cela dietro una società che a chiacchiere lotta contro le discriminazioni, si batte per i “diritti civili” e i “polyamori”, ma nei fatti ricorda sempre di più… altro. In breve: pensavo fosse amore invece era nazismo.

«È un errore pensare che malati come questi possano provare felicità o attaccamento alla vita. Non sanno neanche di vivere. Restano attaccati alla loro esistenza solo per abitudine. Ogni possibilità di curarli o di vederli migliorare è da escludere. Invochiamo un destino clemente che liberi queste creature infelici dalla loro esistenza senza vita. Quanto è crudele mantenere in vita fino alla vecchiaia come cadaveri viventi persone spiritualmente morte, giorno dopo giorno […] Anni, decenni, un vita intera, ad un livello che possiamo riscontrare solo nei gradini più bassi del regno animale. Son sicuro […] che ogni persona sana vorrebbe porre fine a questa esistenza. Nessun essere umano sensibile potrebbe negarglielo. Non è forse questa la richiesta dettata dalla carità?».

Di chi sono queste parole? Del giudice Hayden, che con le sue decisioni ha pervicacemente impedito al bambino di essere assistito come desideravano i suoi genitori? Potrebbero.

Non sono sicuramente di mons. Paglia o di qualche membro dell’episcopato cattolico inglese, che come noto hanno fatto di tutto pur di non dire nulla per difendere il diritto alla vita di un ammalato di due anni. Un po’ Ponzio Pilato un po’ Erode: ma il loro modello non era Gesù Cristo?

A guardare bene, ricordano quelle pronunciate dall’insigne magistrato Vladimiro Zagrebelsky. Questi in un articolo apparso su “La Stampa” afferma «Vi è invece chi, in nome di un diritto alla vita comunque e a qualunque costo, si oppone alla regola deontologica propria dei medici […] si tratta di una regola di umanità verso il paziente». Il nostro unisce nel suo intervento un falso sesquipedale (la “sofferenza” del bambino, negata ripetutamente dai medici che invece ne ribadiscono l’inguaribilità della condizione) al fatto che i genitori non sarebbero titolari di un “diritto alla proprietà” del bambino. Il che stabilisce che esiste allora un detentore della vita altrui. E chi sarebbero allora i “padroni” della vita? Lo Stato? I giudici? I medici? In pratica, un ex membro della Corte europea dei diritti dell’Uomo ci sta dicendo che siamo tornati indietro nel tempo, ad una fase precedente all’Habeas Corpus. Complimenti.

Ma torniamo alle parole precedenti: chi le ha pronunciate?

Quelle espressioni inquietanti, unite a toni finto caritatevoli sono contenuti nel docufilm nazista “Dasein ohne Leben” (esistenze senza vita)[1]. In esso, con argomentazioni non dissimili da quelle odierne, negli anni ’30 nella Germania nazionalsocialista si suggeriva lo sterminio di massa dei malati mentali inguaribili per fare spazio ai più forti, gli unici con diritto di sopravvivere. Proposta poi attuata tramite la famigerata “Aktion t4”, che ha portato ad un numero imprecisato di vittime innocenti, secondo alcuni storici diverse centinaia di migliaia di disabili uccisi prima in alcuni manicomi poi nei lager. Già immagino la replica: “ma che c’entra, lì lo sterminio era pianificato e imposto dall’alto, senza la libera scelta delle persone coinvolte…”. A parte che anche in questo caso la decisione dello Stato si è imposta su quella dei genitori di Alfie; credo però che la situazione vada osservata oltre questo episodio. Non va dimenticato che se si è parlato di questo bambino inglese è stato perché i suoi genitori si sono opposti al volere dei medici, a differenza di tantissimi altri padri e madri che invece in situazioni simili accettano placidamente il verdetto di morte. E questo per motivazioni nella sostanza analoghe a quelle di 80 anni fa.

Ci sono poi dati allarmanti concernenti altri ambiti: in Islanda ad esempio il 100% delle donne che scopre tramite indagine prenatale di avere un figlio Down abortisce[2]; percentuale che in Danimarca è del 98% ed è vicina a queste percentuali allucinanti in molti paesi occidentali[3].

Terzo aspetto inquietante: notate come tutte le prèfiche prezzolate i cui piagnistei relativi a situazioni di “sofferenza abissale”, “dolore insostenibile”, “profondo disagio” (amplificati ai quattro venti tramite i media mainstream) e che si sono battute fino alla morte (altrui) sono state zitte adesso. Lì invocavano al diritto del singolo di scegliere, diritto che evidentemente vale solo quando si opta di togliersi dai piedi da una società che vuole essere composta solo da perfetti, efficienti cittadini del futuro. Quando invece la scelta del singolo va controcorrente, ecco che scendono in campo in pezzi da 90, i giudici europei, a giustificare l’ingiustificabile. Dov’erano i cantori dei diritti civili quando ad Alfie Evans staccavano il respiratore e le flebo per l’idratazione e l’alimentazione? È stato giustamente osservato che se lo stesso trattamento fosse stato applicato ad un cane, i paladini del politically correct avrebbero fatto fuoco e fiamme.

Secondo molti la spiegazione sta, al di là del protocollo medico e giuridico inglese, nell’esigenza di razionalizzare i costi del sistema sanitario. Faccio notare anche sotto il terzo Reich lo dicevano: a che pro spendere in medici, infermieri, assistenti, medicine e posti letto per un bambino con prognosi infausta che comunque non ha alcuna possibilità di guarire? Ma può un paese sedicente civile, al terzo posto al mondo per spese militari come la Gran Bretagna, affermare che non ha i soldi per assistere un bimbo gravemente ammalato[4]? Infatti non lo fa. Ci racconta che Alfie è soppresso per il suo bene.

In breve, c’è in questa società una forma di “nazismo latente” in cui gli obiettivi eugenetici che nel terzo Reich erano ottenuti con l’uso della forza e della prevaricazione oggi non sono cambiati, ma vengono raggiunti con il tacito consenso della stragrande maggioranza della popolazione.

Un’ultima notazione relativa ad alcune argomentazioni che rasentano il grottesco pubblicate su “Repubblica”. La filosofa Michela Marzano ha accusato lo Stato italiano di aver concesso la cittadinanza italiana ad Alfie quando invece, per farla breve, avrebbe dovuto concederla a tutti quei bambini migranti sani che arrivano nel nostro Paese. Il fatto è che il nostro Paese, con tutti i suoi difetti e le sue difficoltà, continua ad accogliere migranti: dal 2014 sono stati salvati dall’Italia oltre 600mila persone nel mar Mediterraneo[5]. E i minori non solo non possono essere rimpatriati, anzi per essi si tenta un percorso di inserimento tramite la scuola. Spendiamo per l’accoglienza circa 5 miliardi di euro l’anno, soldi in buona parte provenienti dalle nostre tasse. Non si capisce allora questa allusione allo ius soli, se non un patetico stratagemma per raccattare un po’ di voti da parte di una fazione politica in drammatico calo di consensi.

Alessandro Laudadio

[1] https://www.youtube.com/watch?v=5E0qCFor2UA. Gli spezzoni di questo documentario nello specifico iniziano dal minuto 12:10. Consiglio la visione di tutto il video, diffuso in passato dalla rai, per coglierne la drammatica attualità.

[2]http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/islanda-dove-la-sindrome-di-down-e-sinonimo-di-aborto_3126044-201802a.shtml.

[3]http://invisibili.corriere.it/2018/03/20/scoprirsi-down-storia-di-alberto-e-della-necessita-di-uninformazione-completa/.

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Stati_per_spesa_militare.

[5]https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/10/17/migranti-governo-nel-2018-spesa-per-laccoglienza-salira-a-47-5-miliardi-di-euro-nonostante-il-calo-degli-sbarchi/3918764/.

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