All’udienza generale di oggi in Piazza San Pietro, Papa Francesco ha svolto la sua catechesi sulla preghiera umile che ottiene misericordia commentando la parabola del fariseo e del pubblicano in cui “Gesù vuole insegnarci qual è l’atteggiamento giusto per pregare e invocare la misericordia del Padre” (cfrLc 18,9-14).
La preghiera del fariseo
“Entrambi i protagonisti salgono al tempio per pregare, ma agiscono in modi molto differenti, ottenendo risultati opposti. Il fariseo prega «stando in piedi» (v. 11), e usa molte parole. La sua è, sì, una preghiera di ringraziamento rivolta a Dio, ma in realtà è uno sfoggio dei propri meriti, con senso di superiorità verso gli «altri uomini», qualificati come «ladri, ingiusti, adulteri», come, ad esempio, – e segnala quell’altro che era lì – «questo pubblicano» (v. 11). Ma proprio qui è il problema: quel fariseo prega Dio, ma in verità guarda a sé stesso. Prega se stesso! Invece di avere davanti agli occhi il Signore, ha uno specchio. Pur trovandosi nel tempio, non sente la necessità di prostrarsi dinanzi alla maestà di Dio; sta in piedi, si sente sicuro, quasi fosse lui il padrone del tempio! Egli elenca le buone opere compiute: è irreprensibile, osservante della Legge oltre il dovuto, digiuna «due volte alla settimana» e paga le “decime” di tutto quello che possiede. Insomma, più che pregare, il fariseo si compiace della propria osservanza dei precetti. Eppure il suo atteggiamento e le sue parole sono lontani dal modo di agire e di parlare di Dio, il quale ama tutti gli uomini e non disprezza i peccatori. Questo disprezza i peccatori, anche quando segnala l’altro che è lì. Insomma, quel fariseo, che si ritiene giusto, trascura il comandamento più importante: l’amore per Dio e per il prossimo”.
Dobbiamo pregare davanti a Dio come noi siamo
La preghiera del pubblicano
“Il pubblicano invece – l’altro – si presenta nel tempio con animo umile e pentito: «fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto» (v. 13). La sua preghiera è brevissima, non è così lunga come quella del fariseo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». Niente di più. “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Bella preghiera, eh? Possiamo dirla tre volte, tutti insieme? Diciamola: “O Dio, abbi pietà di me peccatore. O Dio, abbi pietà di me peccatore. O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Infatti, gli esattori delle tasse – detti appunto, “pubblicani” – erano considerati persone impure, sottomesse ai dominatori stranieri, erano malvisti dalla gente e in genere associati ai peccatori”.
Mendicare la misericordia di Dio
Il fariseo è l’icona del corrotto che fa finta di pregare
Dio ha una debolezza per gli umili
“Così, nella vita chi si crede giusto e giudica gli altri e li disprezza, è un corrotto e un ipocrita. La superbia compromette ogni azione buona, svuota la preghiera, allontana da Dio e dagli altri. Se Dio predilige l’umiltà non è per avvilirci: l’umiltà è piuttosto condizione necessaria per essere rialzati da Lui, così da sperimentare la misericordia che viene a colmare i nostri vuoti. Se la preghiera del superbo non raggiunge il cuore di Dio, l’umiltà del misero lo spalanca. Dio ha una debolezza: la debolezza per gli umili. Davanti a un cuore umile, Dio apre il suo cuore totalmente. E’ questa umiltà che la Vergine Maria esprime nel cantico del Magnificat: «Ha guardato l’umiltà della sua serva. […] di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono» (Lc 1,48.50). Ci aiuti lei, nostra Madre, a pregare con cuore umile. E noi, ripetiamo tre volte in più, quella bella preghiera: ‘O Dio, abbi pietà di me peccatore’. Tre volte: ‘O Dio, abbi pietà di me peccatore. O Dio, abbi pietà di me peccatore. O Dio, abbi pietà di me peccatore’. Grazie”.
fonte: radiovaticana
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