Il Papa apre il Meeting e spiega cos’è il coraggio cristiano

Le parole di Francesco spronano alla ripresa dopo un lungo periodo di buio causato dal Covid, indicando da dove dobbiamo ripartire.

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“Il coraggio di dire io nasce di fronte alla verità, e la verità è una presenza”. Così Papa Francesco ha dato il via al Meeting per l’amicizia tra i popoli, manifestazione estiva riminese che che dopo la crisi della pandemia torna a svolgersi “in presenza”, come al solito con una lista di partecipanti molto ben nutrita. Francesco, attraverso una lettera fatta recapitare dal segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, ha quindi augurato a tutto un proficuo svolgimento.

“La ragione profonda del coraggio del cristiano è Cristo”

“La ragione profonda del coraggio del cristiano è Cristo”, continua il messaggio fatto recapitare ai partecipanti dal Pontefice. “È il Signore risorto la nostra sicurezza, che ci fa sperimentare una pace profonda anche in mezzo alle tempeste della vita”. Francesco ha così auspicato che “che nella settimana del Meeting organizzatori e ospiti ne diano testimonianza viva, facendo proprio il compito indicato nel documento programmatico del suo pontificato”.

Compiuto riassunto in poche parole. “Molti cercano Dio segretamente, mossi dalla nostalgia del suo volto, anche in paesi di antica tradizione cristiana. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile”.

“La gioia del Vangelo infonde l’audacia di percorrere nuove strade”

“La gioia del Vangelo infonde l’audacia di percorrere nuove strade”, continua il messaggio. “Bisogna avere il coraggio di trovare i nuovi segni, i nuovi simboli, una nuova carne, particolarmente attraenti per gli altri. È il contributo che il Santo Padre si aspetta che il Meeting dia alla ripartenza, nella consapevolezza che la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti, nessuno escluso, perché l’orizzonte della fede in Cristo è il mondo intero”.

Insomma, Francesco ha voluto tracciare una direzione per l’atteso evento estivo “ciellino”, che nei decenni è diventato un vero e proprio punto fisso per la “ripartenza” spirituale, sociale e politica, dalla pausa estiva, e che quest’anno si spera possa in qualche modo segnare anche una rinascita dopo il buio della pandemia.

Il titolo scelto quest’anno per l’importante kermesse riminese

Il titolo che è stato scelto per l’edizione di quest’anno è “Il coraggio di dire io”, frase tratta dal Diario del filosofo danese Soren Kierkegaard e che il Papa ha indicato come un aforisma “quanto mai significativo nel momento in cui si tratta di ripartire con il piede giusto, per non sprecare l’occasione data dalla crisi della pandemia”.

“Ripartenza è la parola d’ordine”, ha spiegato Francesco, sottolineando però che “essa non si realizza automaticamente, perché in ogni iniziativa umana è implicata la libertà”. A tal proposito, Bergoglio ha citato le parole di Benedetto XVI: “La libertà presuppone che nelle decisioni fondamentali ogni uomo sia un nuovo inizio. La libertà deve sempre di nuovo essere conquistata per il bene”. In questo senso, ha chiosato il papa, “il coraggio di rischiare è innanzitutto un atto della libertà”.

La pandemia ha rimesso al centro la persona, l’io di ciascuno

Poche cose sembrano infatti essere più importanti, in un tempo come quello che stiamo vivendo, del coraggio. In una società in cui la paura sembra essere diventata la cifra dei rapporti umani e sociali, dove attraverso il terrore si cerca di operare un controllo totale delle vite, fino al dominio di ogni singola azione, la capacità di fuoriuscire dall’oscurità passa per la forza di reagire. Vale a dire, dall’esercizio della propria libertà, a cui il Papa più volte ha richiamato in questo tempo di crisi.

“Mentre ha imposto il distanziamento fisico, la pandemia ha rimesso al centro la persona, l’io di ciascuno, provocando in molti casi un risveglio delle domande fondamentali sul significato dell’esistenza e sull’utilità del vivere che da troppo tempo erano sopite o peggio censurate”, ha continuato Francesco. Sottolineando che che la pandemia “ha suscitato anche il senso di una responsabilità personale. Tanti lo hanno testimoniato in diverse situazioni. Davanti alla malattia e al dolore, di fronte all’emergere di un bisogno, molte persone non si sono tirate indietro e hanno detto: Eccomi“.

“La società ha necessità vitale di presenze responsabili”

In sostanza, il senso della parole del Pontefice sta a sottolineare che c’è un antidoto allo scoramento e alla rassegnazione. “La società ha necessità vitale di persone che siano presenze responsabili. Senza persona non c’è società, ma aggregazione casuale di esseri che non sanno perché sono insieme. Come unico collante rimarrebbe solo l’egoismo del calcolo e dell’interesse particolare che rende indifferenti a tutto e a tutti”.

Una critica ferrata a uno status quo che il Papa non accetta. “Del resto, le idolatrie del potere e del denaro preferiscono avere a che fare con individui piuttosto che con persone, cioè con un io concentrato sui propri bisogni e i propri diritti soggettivi piuttosto che un io aperto agli altri, proteso a formare il noi della fraternità e dell’amicizia sociale”.

Dire “io” con responsabilità e non con egoismo

L’invito mette perciò “in guardia coloro che hanno responsabilità pubbliche dalla tentazione di usare la persona e di scartarla quando non serve più, invece di servirla. Dopo quello che abbiamo vissuto in questo tempo, forse è più evidente a tutti che proprio la persona è il punto da cui tutto può ripartire“.

“Certamente c’è la necessità di reperire risorse e mezzi per rimettere in moto la società, ma c’è bisogno innanzitutto di qualcuno che abbia il coraggio di dire “io” con responsabilità e non con egoismo, comunicando con la sua stessa vita che si può cominciare la giornata con una speranza affidabile”, ha spiegato il Pontefice, attraverso le parole del Segretario di Stato.

“Da dove può venire, allora, il coraggio di dire io?”

Ricordando tuttavia che “il coraggio non è sempre una dote spontanea e nessuno può darselo da sé (come diceva il don Abbondio manzoniano), soprattutto in un’epoca come la nostra, nella quale la paura — rivelatrice di una profonda insicurezza esistenziale — gioca un ruolo così determinante da bloccare tante energie e slanci verso il futuro, percepito sempre più come incerto soprattutto dai giovani”.

“Da dove può venire, allora, il coraggio di dire io?”, è la domanda fondamentale dell’intervento di Bergoglio. “Avviene grazie a quel fenomeno che si chiama incontro: Solo nel fenomeno dell’incontro si dà la possibilità all’io di decidere, di rendersi capace di accogliere, di riconoscere e di accogliere”. Il coraggio, per il cristiano, si chiama Gesù e nasce in quella relazione speciale con il Signore che è chiamato a coltivare, ogni giorno, nella propria vita.

Dio ha dato all’uomo la possibilità di uscire dalla paura

“Dal giorno in cui si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, Dio ha dato all’uomo la possibilità di uscire dalla paura e di trovare l’energia del bene seguendo il suo Figlio, morto e risorto”. A tal proposito, ha chiosato Francesco, “sono illuminanti le parole di San Tommaso d’Aquino quando afferma che la vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente lo sostiene e nel quale trova la più grande soddisfazione“.

“Il rapporto filiale con il Padre eterno, che si rende presente in persone raggiunte e cambiate da Cristo, dà consistenza all’io, liberandolo dalla paura e aprendolo al mondo con atteggiamento positivo. Genera una volontà di bene: Ogni esperienza autentica di verità e di bellezza cerca per se stessa la sua espansione, e ogni persona che viva una profonda liberazione acquisisce maggiore sensibilità davanti alle necessità degli altri. Comunicandolo, il bene attecchisce e si sviluppa“, ha concluso Francesco.

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“È questa esperienza che infonde il coraggio della speranza: «L’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare e guidare dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esistenza, le dona una speranza solida che non delude. La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità“.

Francesco Gnagni

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