Nuove imposizioni da Bruxelles | Da non credere: Vietato dire “Natale” e chiamarsi Maria

La Commissione Europea si cimenta in nuove e assurde linee guida per imporre un linguaggio politicamente corretto e “depurato” da riferimenti religiosi e di genere.

Che il Natale non suscitasse grande simpatia tra i burocrati di Bruxelles non è mai stato un mistero. Ma che addirittura si arrivasse a sconsigliare l’uso del nome “Maria” perché troppo cristiano è qualcosa di assolutamente inedito, oltre che profondamente insensato e irritante.

Nomi “cristiani” nel mirino

Tutto ha origine da un documento intitolato Linee guida della Commissione Europea per una comunicazione inclusiva, la cui diffusione è stata resa nota in esclusiva da Il Giornale. Destinatari del sussidio sono i dipendenti e dirigenti dell’Unione Europea: evidente, quindi, l’obiettivo pedagogico e indottrinante.

Del resto, come afferma nella premessa, il Commissario per l’Uguaglianza, Helena Dalli, “dobbiamo sempre offrire una comunicazione inclusiva, garantendo così che tutti siano apprezzati e riconosciuti in tutto il nostro materiale indipendentemente dal sesso, razza o origine etnica, religione o credo, disabilità, età o orientamento sessuale”.

Nell’ambito dei riferimenti religiosi, la manipolazione del linguaggio è particolarmente penetrante. Bisogna evitare, raccomanda la Commissione Europea, di ritenere che “chiunque sia cristiano”, mentre, al contrario, “bisogna essere sensibili al fatto che le persone abbiano differenti tradizioni religiose”. Tradotto in termini concreti, vanno evitate frasi come “periodo natalizio” a favore di un più generico “periodo delle vacanze.

Il culmine dell’assurdità, comunque, è la raccomandazione a non usare “nomi cristiani” come “Maria” o “Giovanni”, privilegiandone altri come “Malika” e “Giulio. Se ci si volesse attenere in modo scrupoloso a questa prescrizione, bisognerebbe vietare tutti i nomi di santi ma, visto che la stragrande maggioranza dei nomi europei hanno una radice giudaico-cristiana, la norma risulta di difficilissima applicazione.

Una comunicazione davvero inclusiva?

Il documento della Commissione Europea parla di “comunicazione inclusiva”, quando poi, paradossalmente, alcune parole vengono censurate. Persino rispettabilissime professioni come quella di “operaio” o di “poliziotto” non andrebbero utilizzate perché al maschile, così come si vieta di organizzare discussioni in cui sia rappresentato un solo genere – soli uomini o sole donne – o ancora utilizzare l’appellativo di “Miss o Mrs”, a meno che non sia il destinatario della comunicazione ad acconsentire.

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Guai, poi, a salutare l’uditorio con il tradizionale “signori e signore”: meglio “cari colleghi, in modo da non esplicitare alcuna appartenenza di genere. Sarà importante poi “non menzionare sempre prima lo stesso sesso nell’ordine delle parole”, mentre è scorretto, nello stesso contesto, rivolgersi a “un uomo per cognome” e a “una donna per nome”.

E ancora: “Quando scegli le immagini per accompagnare la tua comunicazione, assicurarsi che le donne e le ragazze non siano rappresentate in ambito domestico o in ruoli passivi mentre gli uomini sono attivi e avventurosi”.

Mai attribuire al solo genere maschile un’azione particolarmente meritoria: il fuoco, dunque, non sarà mai “la più grande invenzione dell’uomo”, semmai “la più grande invenzione dell’umanità.

Davvero occorre uno sforzo mentale notevole per rispettare in modo pedissequo tutte queste prescrizioni. Il linguaggio spontaneo e informale è di gran lunga molto più politicamente scorretto…

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Attenersi al rispetto rigoroso delle nuove linee guida della Commissione Europea richiederebbe dunque ore di studio e di esercizio. E decisamente non ne varrebbe la pena.

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