Non accetta la diagnosi di sua figlia, poi a Loreto la Madonna le fa una grazia particolare

Una mamma che grazie a questa testimonianza, dà forza ad altre mamme che hanno situazioni con “figli speciali”. La sua speranza è la speranza di tanti. 

Una vita dura, Roberta ha fatto da sorella maggiore ai suoi fratelli, si è rimboccata le maniche, ha interrotto gli studi per andare a lavorare come commessa in una pasticceria. Lì Roberta, lavora con grande amore. Poi per Roberta arriva l’amore e il desiderio di formare una famiglia. A 30 anni rimane incinta di Silvia e da lì inizia un nuovo capitolo della sua vita.

Roberta Petrarolo, suo marito e la figlia Silvia – lalucedimaria.it

Gli inizi con Silvia non sono stati semplici. Intorno ai cinque, sei mesi della bimba noti che qualcosa non va. Raccontaci!

Quando Silvia fece la prima vaccinazione, la dottoressa mi disse che aveva la circonferenza cranica inferiore alla norma. Io rimasi molto male perché Silvia era uno spettacolo di bambina, la pediatra mi disse che era solo un dato tecnico di cui solo loro dovevano tenerne conto. Verso i cinque mesi mi resi conto che la bambina non teneva la testa dritta e non voleva stare in braccio.

La pediatra mi consigliò di andare da un neurologo; andai con un amica al Gemelli da una dottoressa neurologa che mi fece un quadro drammatico della situazione, addirittura parlava di ricovero.

Scappai via e andai alla UTR, un servizio dell’Asl di riabilitazione. Lì c’era un neuropsichiatra infantile che riceveva tutti i mercoledì e c’era una terapista che da poco aveva chiesto il trasferimento da fuori Roma. La presero in cura loro e cominciò la terapia vero i sette mesi, continuativa, tutti i giorni. Silvia poi ha cominciato a fare dei controlli clinici che davano tutti responsi negativi.

Qual è stata poi la diagnosi?

Abbiamo saputo intorno ai due anni, dopo che Silvia aveva cominciato a fare i primi passi da sola, tramite una risonanza magnetica che aveva un danno al cervello chiamata genesia del corpo calloso, in pratica una parte di cervello non si è mai formata. Cominciammo a fare ulteriori visite genetiche.

Una diagnosi difficile da accettare

Tu e tuo marito avete accettato subito la diagnosi di vostra figlia o avete avuto problemi?

Nel mio inconscio non volevo accettare questa cosa, avevo paura. Mio marito lavorava di notte e dormiva di giorno, si è chiuso sul suo bozzolo e non voleva sapere niente e comunque siamo andati avanti con le terapie e le visite. Nel frattempo l’amore per Silvia cresceva sempre più.

Roberta Patrarolo e la storia della figlia Silvia
Silvia, la figlia di Roberta – lalucedimaria.it

Chi ti ha portato a Loreto per la prima volta, col treno bambini?

Al centro dove portavo Silvia a fare la riabilitazione c’è una persona meravigliosa che si chiama Marina, faceva la terapista, ed è volontaria Unitalsi. Mi propose di andare a Loreto bambini, il primo anno dissi di si ma poi Silvia si era ammalata e non potemmo più andare. Quindi siamo andate l’anno dopo. Lì è iniziata la nostra frequentazione con la Santa Casa.

Cosa succede di particolare a Loreto?

La prima volta rimasi sconvolta nel vedere tutte quelle mamme e tutti quei bambini che stavano molto peggio di Silvia, e tutto l’amore che ci circondava. Io a casa effettivamente ero sola, il marito che lavorava, mamma che non era molto ben disposta nei confronti della patologia di Silvia … tutto quell’amore intorno, tutte quelle persone che si prendevano cura di me e della bambina, era un mondo nuovo.

Il secondo anno andai a Loreto, ed ebbi un colloquio molto importante con un sacerdote don Decio, che era l’assistente spirituale (a quell’epoca) della sezione. Mi chiese della patologia di Silvia, e mi disse delle cose che mi hanno sconvolto positivamente e ancora porto nel cuore. In pratica mi chiese se questa figlia io l’avevo desiderata e gli dissi che è arrivata in un momento in cui io non volevo, perché avevo pianificato dei progetti familiari non perché io non volessi figli. Mi chiese che cosa vedevo quando la guardavo, io risposi che vedevo una bambina sfortunata con tanti problemi, e lui mi rispose di vederla con un altro occhio perché è una bambina che ha bisogno di cure specifiche, i suoi occhi sembrano quelli della Madonna. Poi mi disse di parlare con la Madonna e di chiedere aiuto a lei perché lei è una mamma.

Roberta racconta la storia della figlia Silvia
Silvia – lalucedimaria.it

A quel punto portai la bambina in camera, la affidai ai volontari e andai in Santa Casa a fare una bella chiacchierata con la Madonna, ci litigai anche! Ad un certo punto scoppiai a piangere e le dissi “Non vedi che sono sola perché l’hai mandata a me?”.

A quel punto ho sentito un abbraccio, mi sono girata e non c’era nessuno in quel momento, però ho sentito proprio una mano sulla spalla. Sono tornata in camera ed ho cominciato a guardare Silvia in un altro modo.

Nella braccia di una Madre che accoglie e ascolta

Chi è per te la Madonna?

È la mia mamma, è la persona con la quale posso parlare a cuore aperto senza mezzi termini, so che lei mi accoglie, mi abbraccia, per me Maria è una mamma speciale. Lei aveva un figlio speciale.

Com’è cambiata la tua vita dopo quel pellegrinaggio?

Sono stata un po’ più serena, i momenti faticosi e più difficili ci sono stati e ci saranno sempre ma c’è un po’ più di fiducia. So comunque che non ho più sentito quella solitudine che sentivo prima. Abbiamo fatto gruppi con le mamme, vissuto esperienze associative.

Fai parte di un’associazione che si chiama il Melograno rosso. Di cosa si tratta?

Questa associazione è nata tanti anni fa all’interno dell’Asl, mi sono rivolta a loro quando io chiedevo, qualche volta, una frequentazione di Silvia con altri ragazzi. Mi sono trovata bene perché siamo tante mamme, poi ci sono due responsabili che sono due operatori Asl, Francesca che organizza le varie attività. Io sono entrata nel direttivo di questa associazione, i ragazzi fanno dei corsi di cucina, di teatro, balli di gruppo, ginnastica, arte, informatica e un laboratorio creativo, dove si creano delle cose che poi vendiamo quando organizziamo dei banchetti. La cosa bella sono i soggiorni, dei week end in autonomia, partono i ragazzi con gli operatori e si gestiscono loro la struttura, un gruppo cucina, un gruppo fa i letti. In genere vanno negli agriturismi.

Un messaggio che sa di speranza

Cosa vuoi dire alle altre mamme che hanno figli speciali come Silvia?

Dico loro di non demordere, perché è vero che i nostri figli hanno bisogno di attenzioni particolari, però le altre mamme dei normo dotati non sono esenti dai problemi. Tutti i figli danno dei problemi, i nostri sono un po’ più specifici.

Silvia la figlia di Roberta
Silvia – lalucedimaria.it

Sento di dire alle mamme di tenere duro e di farcela, noi viviamo in un mondo bellissimo dove i nostri ragazzi ci trasmettono solo cose belle, loro sono puliti, hanno un animo candido non hanno infrastrutture mentali. Chiedono solo amore puro e chiedono di essere accolti e aiutati.

Come si fa a ringraziare Dio proprio per un figlio speciale?

Si guarda negli occhi il proprio figlio, si prende il bello di quello che danno e delle esperienze che viviamo.

Bisogna ringraziare Dio perché se non avessi mia figlia non avrei conosciuto il bello della vita.

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