Alla fine, ce l’hanno fatta: hanno distrutto l’inno alla vita, che troneggiava su un palazzo di Roma, sotto forma di un cartellone 7×11 metri, che riportava slogan ProVita.
La cultura della morte colpisce i bambini in grembo e ciò che, più di ogni altra cosa, destabilizza è l’indifferenza e la freddezza con cui la cosa viene affrontata dalle istituzioni, dalle forze politiche, dai liberi cittadini e dai cristiani anche.
L’aborto, già in molti Paesi dell’Europa, è ritenuto un’operazione di routine e non scandalizza più nessuno.
Invece, un manifesto che mette in guardia su quel reato (perché di questo si tratta) pare offendere la libertà della donne e di chiunque abbia già deciso di promuovere le pratiche di interruzione volontaria di gravidanza.
Il manifesto in questione, quello che ha lasciato un vuoto sul palazzo romano e nelle nostre battaglie per la vita, ritraeva un bambino nel grembo materno, nato perché nessuno aveva pensato di abortirlo!
Ricordiamo, intanto, che pure la tanto stimata legge 194 sull’aborto non permette ad una donna di rinunciare alla gravidanza per un capriccio, ma solo in circostanze molto particolari e comunque non oltre i tre mesi di gestazione.
“Qualcuno con un’esistenza di ritmi giorno-notte (Semin Perinatol.2001; 25(6): 363-70) e provvisto di una sua memoria (Neurorep.2005; 16(1): 81-4). Qualcuno, come noi, in grado di sperimentare il dolore (Semin Perinatol.2007; 31(5): 275-82; Anesthes.2001; 95(4): 828-35)”.
Antonella Sanicanti
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