Chi vuole compiere un’azione dettata dall’egoismo, trova ogni escamotage per farlo.
Le scuse sono tante, per aggirare le responsabilità e giustificare la propria condotta, per farla apparire giusta e degna di nota.
Purtroppo, ci sono delle situazioni che, anche se moralmente discutibili, sono permesse dalla legge. Questa, infatti, tutela la libertà del cittadino e non certo la sua coscienza. Di quella dovremmo, un giorno, rispondere solo a Dio e non potremo imbrogliarlo.
Scendiamo nel dettaglio, applicando queste riflessioni ad un caso preciso.
C’è chi sostiene che non si possa imporre alla donna di partorire!
Si può impedire ad un bocciolo di diventare un frutto o un fiore; ad un fiume di scorrere verso il mare; alla pioggia di bagnare le strade?
Allora perché mai una donna incinta non dovrebbe, obbligatoriamente, portare a termine il suo percorso e partorire?
Una delle risposte possibili, potrebbe essere che è nell’illusione dell’essere umano, soggiogare la natura, come se l’avesse creata e potesse veramente sovvertirne l’ordine e le leggi.
Ma il problema, che porta alle controversie attuali, sta a monte: se una donna si prende la responsabilità (il diritto) di avere un rapporto sessuale, allora dovrebbe avere il dovere di partorire, eventualmente.
Inoltre, se lasciassimo alla donna il diritto di decidere di partorire o meno (è chiaro che stiamo parlando di aborto), perché il diritto alla vita del nascituro non dovrebbero meritare lo stesso rispetto e la medesima considerazione?
Ho letto da qualche parte: “Il diritto alla vita di un essere umano vale più della libertà di scelta di un altro essere umano, altrimenti l’omicidio sarebbe legale” ed è ineccepibile!
Bergoglio, ancora Cardinale, affermò: “Nei confronti di una donna in stato di gravidanza, dobbiamo sempre parlare di due vite, le quali debbono entrambe essere preservate e rispettate, poiché la vita è un valore assoluto. Il diritto alla vita è un diritto umano fondamentale. L’aborto non è mai una soluzione”.
Senza considerare, poi, che l’uomo, che ha reso incinta quella donna, potrebbe avere un’opinione diversa, rispetto all’aborto, e, essendo anche lui responsabile della gravidanza (e non poco), dovrebbe poter dire la sua.
Tra l’altro, la legge italiana, se studiata bene, non è poi così accondiscendente, come vorrebbero farci credere: è semplicemente molto generica e questo offre tanti spunti di elusione.
La Legge 194 permettere l’aborto nei primi tre mesi di gravidanza, ma solo in caso di “un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito.”.
Dopo i primi 90 giorni, l’aborto non è consentito a nessuna, se non in circostanze particolarissime. La stessa legge obbliga la donna a partorire, poiché (dopo i primi tre mesi) il feto è considerato un essere umano e l’aborto un omicidio.
Scientificamente, non accade nulla nel grembo materno (oltre al progressivo sviluppo del bambino) che possa, nel passaggio dal terzo al quarto mese, spiegare perché il feto, prima di quel momento, non sia considerato un essere umano, ma un grumo di cellule.
La distinzione tra i primi tre mesi e quelli successivi è arbitraria, convenzionale; per un cristiano, un concetto assolutamente superfluo, dal momento che la vita inizia col concepimento.