A dare testimonianza di un particolare episodio è stato l’Arcivescovo di Napoli che ha parlato a cuore aperto di un aneddoto della sua vita che ci porta a comprendere come Maria sia sempre presente.
Anche quando sembra che non ce ne accorgiamo. Lei ci chiama a sé sempre, nei luoghi dove lei è apparsa, ma anche nella nostra vita di tutti i giorni.
Possiamo, noi, comprendere la sofferenza altrui?
Maria è la madre di ciascuno di noi e, come tale, non vuole che nessuno dei suoi figli vada perduto o che da Lei si allontani. Alzare a Lei lo sguardo ogni volta che ne abbiamo bisogno, è segno che vogliamo sentire la sua presenza accanto a noi, sempre.
In particolare in certi momenti e occasioni della nostra vita. Davanti alla sofferenza, ci sentiamo impotenti, non sappiamo cosa fare. Ma portare i nostri occhi ed il nostro pensiero a Maria ci fa comprendere cosa effettivamente dobbiamo e possiamo fare. Anche quando ci sembra tutto così strano attorno a noi.
A raccontare, proprio su questa scia, un episodio particolare quanto importante della sua vita, è stato l’Arcivescovo di Napoli, Monsignor Domenico Battaglia. Un racconto che fa riflettere perché, si potrebbe pensare che, quando si è sacerdoti, ci si è avvicinati a Dio del tutto e, quindi, si possano (per quanto possibile) comprendere tutte le dinamiche e tutti i misteri di ciò che ci troviamo davanti, sofferenza compresa. Ma non è così, e questo racconto ne è la testimonianza.
Lourdes: Monsignor Battaglia e la sua prima volta
L’Arcivescovo racconta del suo primo viaggio a Lourdes. Un viaggio che lui, da giovane sacerdote quale era da soli 4 mesi, non voleva fare: “Io non volevo andare perché dicevo che in diocesi c’erano tante madonnine”. Ma il parroco che gli aveva affidato questo gruppo di fedeli gli diede un consiglio particolare: “Mi disse di mettere da parte il mio orgoglio di prete giovane e di andare. E su quel treno ho avuto modo di conoscere la sofferenza e l’amore” – come racconta “Famiglia Cristiana”.
Tutti pensiamo di capire o di aver sperimentato o visto, almeno una volta nella nostra vita, la sofferenza. Ma finchè non la tocchi con mano, anche guardando negli occhi un ammalato, non puoi dire di aver capito. E Monsignor Battaglia continua il suo racconto: “Ho ascoltato gli ammalati, ci ho parlato e li ho confessati. Tutti in quel viaggio. Tutti tranne una. Lei si chiamava Maria e aveva 45 anni. Non riuscivo ad avvicinarmi a lei. Era su una barella, paralizzata, muoveva solo la testa e parlava. Non sapevo cosa dirle”.
Il suo non avvicinarsi a quell’ammalata: lei lo stupisce con il suo esser felice
La paura di sentirsi inadeguati, di non saper cosa dire o fare, lo blocca. Ma è quell’ammalata a chiamarlo a se: “Un giorno però davanti alla grotta mi chiama. Mi fa notare che ho parlato con tutti tranne che con lei. Le rispondo ma capisce che le mie sono inutili scuse. Poi mi dice di essere felice” – racconta l’Arcivescovo.
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Alle parole di quella donna, l’allora giovane don Mimmo si chiede come sia possibile essere felici in quella condizione di estrema sofferenza. Ma è lei, questa volta, ad aprire il cuore di quel giovane: “Mi chiedo come possa esserlo con quelle condizioni ma lei insiste e mi dice: so che Gesù ha salvato il mondo su una croce e io so che se riesco ad unire la mia sofferenza alla sofferenza di Gesù vuol dire che la mia vita non è inutile, questa barella è la mia croce, se offro la mia sofferenza al Signore la mia vita ha un senso”.
Parole forti, ma che allo stesso tempo gli aprono il cuore: “Maria usò queste parole nella simbologia dell’impotenza, intanto io a testa bassa mi allontanavo mortificato, ma mi richiama e mi dice ancora: non vengo a Lourdes per chiedere il miracolo ma perché sono devota, alla Madonna chiedo la forza per non tradire mai il Vangelo ed essere fedele a questa mia storia” – conclude l’Arcivescovo.
Una donna che, con la sua fede, porta la sua croce dinanzi a Maria. Un insegnamento che ha segnato quel giovane sacerdote che porta questa esperienza ancora oggi nel suo cuore.
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