In otto mesi persa una città come Venezia – Il dramma Italia

I numeri dell’Istat mettono in luce il dramma: l’Italia è demograficamente moribonda. In 8 mesi, persi 250mila abitanti, tanti quanti quelli di Venezia. Va alzato lo sguardo per ripartire. 

Dramma nascite nascite
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Dalla crisi del 2008 la situazione è pericolosamente peggiorata, e ora la pandemia sembra voler dare il colpo di grazia. Il virus infatti rischia di travolgere in maniera pesante le poche speranze di ripartenza, dal punto di vista della natalità, che si cercava di alimentare.

Capire il crollo demografico per poterlo combattere

Un vero e proprio disastro che è necessario approfondire per capire dove sono originati i problemi, e come poter rimediare attuando un deciso cambio di marcia. Per evitare le conseguenze più devastanti, quelle cioè della scomparsa di una intera generazione.

Le proiezioni dell’Istat infatti certificano che, giorno dopo giorno, l’Italia si sta rimpicciolendo. Solamente negli ultimi otto mesi il nostro Paese ha perso almeno 250mila nuovi abitanti. La soglia dei sessanta milioni è stata purtroppo tristemente superata. In negativo.

Italia, dramma demografico. La tendenza terrificante prevista dall’Istat

L’Istituto nazionale di statistica prevedeva che questo dato si sarebbe potuto raggiungere, con il trend precedente alla crisi sanitaria, in dieci anni. Il virus ha incrementato esponenzialmente il declino demografico. In otto mesi è scomparsa una quantità di popolazione pari a una città come Venezia.

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Il calo accompagna il Paese ormai da anni. Ormai è però diventato, in maniera consolidata, un tracollo. Sotto tutti gli aspetti: demografico, economico, morale. La prima a essersene andata sembra essere propria la speranza. E l’impatto sembra andare ben oltre le capacità che ha il sistema Paese di rispondere.

Nascite: il crollo demografico non è solo un indice numerico

Quello demografico tuttavia non è solamente un indice numerico. Al contrario, sta a indicare il benessere generale di una popolazione, la sua capacità di immaginare il futuro, di proiettarsi nell’avvenire e di essere capace di dare un seguito al proprio tempo. Un paese che non fa figli è un paese incapace di sperare, di guardare oltre all’oggi, al proprio ombelico.

Il benessere di un Paese infatti non è certamente legato solamente al Pil, al Prodotto interno lordo. Tutt’altro. In quest’ottica, il dramma italiano è un dramma molto più profondo di quanto possa apparire. Si tratta del segnale di un decadimento morale di prospettiva, oltre che di senso.

Al Paese rischia di mancare la speranza per il futuro

Di questo passo, gli statistici spiegano che entrò la fine del prossimo anno potrebbe esserci un’ulteriore perdita, della stessa portata. Una città come Venezia che ogni anno scompare. Il crollo delle nascite riguarda molteplici fattori, dalla povertà alla mancanza di lavoro. Persino chi parla della necessità di accogliere nuovi immigrati per abbassare l’età media della popolazione dovrà ricredersi, visto che in mancanza di prospettive pure i saldi migratori stanno diminuendo.

L'Italia vive un vero dramma demografico nascite
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C’è chi prospetta la possibilità che nel 2030 l’Italia possa essere simile per numero di abitanti alla Spagna e ai suoi 47 milioni di abitanti, molti immigrati dal Sud America. L’ultima crisi migratoria del mezzogiorno cambiò faccia alla popolazione, facendo partire molti giovani dal sud per le regioni del settentrione. Nelle terre natie dei giovani che partivano in cerca di fortuna, restavano solo anziani e adolescenti. Oltre agli adulti condannati alla precarietà.

L’impoverimento crescente generato dalla mancanza di nascite

Tutto ciò determina però a caduta anche un impoverimento crescente, tanto dei consumi quanto degli stili di vita, con i prezzi delle case in continuo declino, e lavoratori destinati a prendere sulle spalle il peso di chi un lavoro non ce l’ha.

La domanda che allora è necessario porsi è: come invertire la rotta? Se ci si pensa, sono passati appena trent’anni da quando il Paese sembrava entrare dentro un’era di benessere, di prospettive rosse, di futuro economicamente florido e stabile. I grandi sogni di allora oggi sembrano avere lasciato spazio a consolazioni flebili, quando non malinconie di ciò che non è stato possibile.

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L’ottimismo del cristiano che guarda alla Salvezza di Cristo

Il cristiano però è ottimista per definizione. Sa bene che, dopo la sofferenza, alla fine della Croce, c’è sempre la Salvezza, che si manifesta con la Resurrezione. Per questo è necessario rimboccarsi le maniche, investire sulle famiglie, mettere in campo incentivi adeguati per i giovani, per fare in modo che possano avere figli.

C’è bisogno del coraggio, di smettere di abbassare lo sguardo sui propri piedi per guardare al cielo, e ripartire con più motivazione e slancio di prima. C’è bisogno di una speranza che non si origini dai mali di questa terra ma dalla prospettiva di una vita eterna, celeste, che ci garantirà salvezza e prosperità infinita una volta accolti nelle mani del Signore.

La prospettiva del futuro è quella del Signore

Oggi il Paese spende più in pensioni che in educazioni, e ciò non è accettabile. Perché non è sostenibile. La prospettiva è infatti necessariamente quella biblica. “Negli ultimi giorni, dice il Signore, Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno.

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Farò prodigi in alto nel cielo e segni in basso sulla terra, sangue, fuoco e nuvole di fumo. Il sole si muterà in tenebra e la luna in sangue, prima che giunga il giorno del Signore, giorno grande e splendido. Allora chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato” (Atti 2,17-21).

Giovanni Bernardi

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