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Catechesi

Conoscete i ” Cinque passi al Mistero “? – parte terza – Audio

Padre M. Botta

I “ Cinque passi al Mistero ”, è un iniziativa portata avanti dalla Congregazione dell’Oratorio, che ha sede nella chiesa romana di Santa Maria in Vallicella.
La Congregazione nacque per volere di San Filippo Neri, vissuto tra il 1515 e il 1595.

I “Cinque passi al Mistero” è una catechesi riservata agli adulti, che comincia con una mezz’ora di introduzione all’argomento, dopo di che ogni partecipante scrive delle domanda o una riflessione, in forma anonima, su un pezzo di carta, sicuro che esse verranno estratte a caso dal relatore e avranno una risposta.

Come San Filippo Neri

San Filippo Neri, dopo essere stato ordinato sacerdote, si dedicò alle confessioni e alla direzione spirituale.
Aveva un modo molto amicale e gioioso di agire, tanto che era persino chiamato il giullare di Dio, così finì per attrarre a se e alle sue parole molti penitenti e curiosi, anche laici.
Da questo fatto gli venne l’idea di continuare a seguire quelle persone, in un cammino spirituale, che li portasse a conoscere meglio le pratiche di devozione e ogni altro comportamento consono al cristiano, dalle opere verso gli altri allo svago.

Il suo modo di “riunire quelle persone” venne definito oratorio.
Ai suoi incontri, arrivava molta gente, di varia estrazione sociale, che si mescolava insieme alle persone che lo seguivano assiduamente, già da tempo.
Ogni incontro cominciava con una lettura tratta dalla Bibbia o dal testo di qualche santo uomo; seguivano le riflessioni di San Filippo Neri sull’argomento, per poi andare, tutti insieme, per la città, a visitare i malati o a compiere qualche opera buona.

Catechesi del 2008/2009 – Cinque passi al Mistero

La catechesi de “I Cinque passi al Mistero”, di cui qui sotto riproduciamo l’audio, risale all’anno 2008/2009.
Ha come titolo “Se Dio sapesse di te sarebbe al tuo fianco – la fede messa alla prova nell’ora del dolore”.

Affronta il tema del dolore, della sofferenza, quella che non si può raccontare, perché ogni parola risulterebbe impoverirla; ne schematizzare, perché non è misurabile o confrontabile, da persona a persona, e si finirebbe per ridurne l’entità, ferendo la persona che ne sopporta già il peso.
L’unica cosa che si può tentare di fare è offrire consolazione.
Ma come trovare il modo giusto, visto che ogni dolore è personale e personalizzato e non è simile nemmeno a quello che noi stessi abbiamo -forse- provato?

Ogni dolore porta in se una parte invincibile, che blocca, dilania e inabissa l’anima; la fa sprofondare nella voragine, che si è aperta nel cuore e che, in un attimo, risucchia l’essenza stessa della persona.
Per questo, ogni dolore sembra assoluto, sembra assorbire ogni altra parte della mente, della volontà, per diventare il padrone delle giornate, che trascorrono prive di speranza.

Prigionieri nella morsa del proprio dolore, non si riesce a pensare che altri potrebbero soffrire anche di più e ci si chiede dove sia Dio, che ha promesso di sostenerci sempre; se esiste, davvero, e -in tal caso- perché permette tanto.
Quanto è inutile, e quasi offensivo, che qualcuno, in quel momento, ci dica che anche Cristo ha affrontato la sua croce! Una risposta superficiale -celata sotto una spiritualità spicciola- che quasi induce una responsabilità ulteriore, per chi soffre e non riesce a capacitarsene, e che certamente umilia.

Alcune persone -è vero- hanno la capacità paziente di soffrire, insegnando agli altri a consolare, ma non tutti riescono a farlo, non nell’immediato.
Il titolo di questa catechesi si riferisce ad una nota canzone di Cesare Cremonini, ma è importante svelare di quale Dio ogni persona parli, quale è il Dio, cioè, da cui si aspetta l’aiuto.

Nella Bibbia (nostro Manuale di vita eterna), ad esempio, si parla di ogni tipo di dolore, di quello provocato dalla dubbia morale; di quello indotto dalla morte dei figli o dei propri cari; di quello dovuto alla nostalgia per la Patria o per il “non accaduto”; di quello conseguente alle persecuzioni, allo scherno, all’abbandono, ai rimorsi; di quello che si domanda: perché i cattivi hanno tutto e io non ho nulla, se non sofferenza e ferite incurabili?

Ma sapete come finisce la storia di Giobbe?
Ecco, forse la consolazione da offrire a chi soffre sta nella condivisione e nel ribadire che, proprio perché Dio esiste, nulla è senza valore o significato, nemmeno il dolore, che sembra rubare le ore preziose della nostra vita, che passano infruttuose e tutte uguali.

Antonella Sanicanti

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