Ex presidente della Corte Costituzionale Zagrebelsky: “Diritto alla morte? Una mostruosità”

Il suicidio assistito di Dj Fabo ha smosso le coscienze degli italiani, interrogatisi in quel periodo sulla morale sottostante ad una simile scelta. Senza indugiare ulteriormente sulla situazione personale del ragazzo (a lungo dibattuta) ci interroghiamo invece sugli slogan che sono derivati da quella situazione: c’è chi, infatti, ha urlato a gran voce che in Italia non è tutelato il diritto alla morte, ma può la cessazione dell’esistenza essere un diritto?

Per rispondere alla domanda citeremo le parole dell’ex presidente della Corte Costituzionale e giurista Gustavo Zagrebelsky. L’esperto si espresse in occasione del suicidio di Lucio Magri avvenuto nel 2011. Anche in quel caso il cittadino italiano ha chiesto asilo in Svizzera riuscendo nel suo triste intento, anche in quel caso c’è chi ha tuonato in favore dell’eutanasia in Italia.

Per spiegare la sua posizione il giurista premette che la sua disamina si poggia su presupposti laici: “Quello che sto per dire è in una prospettiva laica”, d’altronde partire da una prospettiva religiosa avrebbe escluso dal ragionamento chi per scelta non vi crede. Quindi evidenzia come il suicidio, e dunque la morte, non possa essere vista come una scelta o come una libertà, bensì come un fallimento, una tragedia.

Zagrebelsky afferma che il diritto penale non punisce il suicidio: “Lo considera un mero fatto, non c’è sanzione se tu cerchi di ucciderti da solo. In questi confini estremi dell’esistenza individuale il diritto non può far nulla, ed è bene che taccia. Lasciando che ciascuno gestisca i suoi drammi ultimi da solo”. Dunque la mancanza di una punizione è data dal semplice fatto che il suicidio riguarda la sfera personale del soggetto (d’altronde come si può punire chi ha cessato d’esistere).

Questa affermazione potrebbe sembrare un’ovvietà ma serve ad introdurre il discorso relativo all’assistenza al suicidio, difatti Zagrebelsky dice: “Se tu ti uccidi da solo questo è considerato un fatto, che resta entro la tua personale sfera giuridica. Ma se entra in gioco qualcun altro, diventa un fatto sociale. Anche solo se sono due: chi chiede di morire e chi l’aiuta. E ancor più se c’è un’organizzazione, pubblica o privata che sia, come in Svizzera o in Olanda. La distinzione ha una ragione morale”, spiega il giurista prendendo spunto dall’articolo 579 e 580 che puniscono rispettivamente l’omicidio del consenziente e l’istigazione al suicidio.

L’affermazione precedente serve al giurista per porre una domanda: se è considerato reato l’assistenza o l’istigazione al suicidio, com’è possibile pensare che lo stato stesso si renda colpevole di un simile atto? Continuando la sua disamina, infatti, l’esperto sottolinea come il compito dello stato sia quello di offrire le possibilità ai cittadini per vivere una vita dignitosa e non quello di risolvere i problemi eliminandoli: “Gran parte dei suicidi derivano da ingiustizie, depressione o solitudine. Davanti a questo,può la società dire: ‘va bene, togliti di mezzo, e io pure ti aiuto a farlo? Non è troppo facile? Il suo dovere non è il contrario: dare speranza a tutti?’ Il primo diritto di ogni persona è di poter vivere una vita sensata, e a ciò corrisponde il dovere della società di crearne le condizioni. La società, con le sue strutture,ha il dovere di curare, se è possibile; di alleviare almeno, se non è possibile”.

Per quanto riguarda gli slogan che incitano alla costituzione di un “Diritto a morire”, Zagrebelsky risponde: “C’è la morte che ci si dà, come dato di fatto. Ma l’espressione “diritto a morire” contiene una contraddizione. Parliamo di diritti o libertà come espansione delle possibilità. Si può parlare di diritto al nulla, o di libertà di nulla? A me pare una mostruosità”.

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