La lotta della Chiesa contro il suicidio assistito (Eutanasia) potrebbe apparire, ad alcuni parenti che si trovano nella condizione di assistere un malato terminale, come un obbligo alla sofferenza. Questi infatti si chiedono com’è possibile che sia più cristiano soffrire indicibili sofferenze piuttosto che arrivare ad una morte considerata dagli stessi degna. Partendo da questo presupposto ci si chiede: la negazione dell’eutanasia è un obbligo alla sofferenza?
La posizione della Chiesa in questo ambito è spesso confusa e può risultare controversa, per la religione cattolica la vita è un dono del Padre ed in quanto tale nessuna sofferenza le può rubare dignità. Essendo un dono di Dio la vita non può essere soppressa dall’essere umano in nessun modo, ciò non significa che bisogna ostinarsi a prolungarla con delle cure “Sproporzionate”(in gergo medico accanimento terapeutico).
Il suicidio, quindi, è una doppia ingiustizia: da un lato rompe il legame con il Padre, perché il suicida prende possesso di una vita che non gli appartiene ma che dovrebbe esclusivamente gestire, dall’altro rompe il legame con chi in vita ha una relazione stretta con esso, immaginate l’effetto dirompente che ha un suicidio su moglie e figli?
Questo vuol dire che è assolutamente vietato suicidarsi in qualsiasi condizione si trovi l’uomo in questione, siamo dunque costretti a soffrire per non fare peccato? La Chiesa ammette da tempo il concetto di cura proporzionata, nel caso di un malato terminale esclude l’eutanasia ma anche l’accanimento terapeutico: se una persona soffre troppo e la cura che gli viene assegnata è finalizzata a prolungare tra atroci sofferenze la stessa di pochi mesi, la Chiesa propende per le cure palliative e le medicine per alleviare il dolore, così che la vita faccia il suo corso.
Per essere chiari se una donna incinta ha bisogno di essere nutrita forzatamente affinché riesca a portare a termine la gravidanza e continuare la sua vita è bene farlo, se invece un anziano malato terminale non riesce più a mangiare è consentito che lo si lasci morire nel suo letto alleviando le sue sofferenze con le medicine. In questo modo non si sta prendendo possesso di una vita, ma la si sta lasciando sul solco tracciato da Dio, permettendo allo stesso tempo al soggetto di non soffrire di dolori atroci.
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