Tre espressioni spiegano bene cosa significa adorare il Signore – Video

Adorare il Signore – ha spiegato – non è facile”, né è “un fatto immediato”. Per adorare Dio, serve “una certa maturità spirituale, essendo il punto d’arrivo di un cammino interiore, a volte lungo”.

Imparare ad adorare Dio sull’esempio dei Re Magi. Così si è espresso papa Francesco.

L’adorazione non è un atteggiamento che sorge “spontaneo in noi”: nel suo bisogno di adorare, facilmente l’uomo può sbagliare obiettivo e “se non adora Dio, adorerà degli idoli”. Come affermava lo scrittore francese Léon Bloy, “chi non adora Dio, adora il diavolo”, ha ricordato Bergoglio, riprendendo una citazione fatta durante la sua prima omelia in Vaticano.

Nella nostra epoca è particolarmente necessario che, sia singolarmente che comunitariamente, dedichiamo più tempo all’adorazione, ha rimarcato il Santo Padre. A tale scopo, “ci mettiamo alla scuola dei Magi”, che ci offrono “alcuni insegnamenti utili” su come “adorare il Signore”. Ci sono, ha detto il Pontefice, tre espressioni che spiegano bene cosa questo significhi: “alzare gli occhi”, “mettersi in viaggio” e “vedere”.

“Alzare gli occhi”

La prima parola chiave suggerita dal Papa implica innanzitutto “mettere da parte stanchezza e lamentele”, per “uscire dalle strettoie di una visione angusta”. Alzare gli occhi, comporta “liberarsi dalla dittatura del proprio io, sempre incline a ripiegarsi su sé stesso e sulle proprie preoccupazioni”. È importante, ha rimarcato Francesco, non lasciarsi “imprigionare dai fantasmi interiori che spengono la speranza, e non fare dei problemi e delle difficoltà il centro della propria esistenza”.

Non si tratta di “negare la realtà, fingendo o illudendosi che tutto vada bene” ma è necessario essere consapevoli che il Signore “non è indifferente alle lacrime che versiamo. Con “gratitudine filiale”, il discepolo scopre in Dio “una gioia nuova, diversa” da “quella del mondo”, fondata “sul possesso dei beni, sul successo o su altre cose simili”.

“Mettersi in viaggio”

Quando hanno visto spuntare la stella, i Magi hanno dovuto affrontare una “trasformazione”, un “cambiamento”, come avviene con tutti i viaggi. “Non si giunge ad adorare il Signore senza passare prima attraverso la maturazione interiore che ci dà il metterci in viaggio”, ha commentato il Santo Padre. L’esperienza di “adoratori del Signore” è sempre un “cammino graduale”: chi si lascia modellare dalla grazia, solitamente, col passare del tempo migliora.

Da questo punto di vista, i fallimenti, le crisi, gli errori possono diventare esperienze istruttive: non di rado servono a renderci consapevoli che solo il Signore è degno di essere adorato”, ha aggiunto il Pontefice. “Inoltre, col passare del tempo, le prove e le fatiche della vitavissute nella fedecontribuiscono a purificare il cuore, a renderlo più umile e quindi più disponibile ad aprirsi a Dio”. Persino i peggiori “peccati” possono aiutare a crescere nella fede, a patto che siano vissuti “con pentimento” e “con contrizione”.

“Vedere”

Di fatto, i Magi cosa videro? “Videro un povero bambino con sua madre – ha sottolineato il Papa –. Eppure questi sapienti, venuti da paesi lontani, seppero trascendere quella scena così umile e quasi dimessa, riconoscendo in quel Bambino la presenza di un sovrano”. Essi seppero “vedere al di là dell’apparenza”. A conferma del fatto che “per adorare il Signore bisogna vedere oltre il velo del visibile, che spesso si rivela ingannevole”.

Erode e i notabili di Gerusalemme rappresentano la mondanità”, che “dà valore soltanto alle cose sensazionali, alle cose che attirano l’attenzione dei più”. Al contrario, nei Magi vediamo il “realismo teologale” che “percepisce con oggettività la realtà delle cose, giungendo finalmente alla comprensione che Dio rifugge da ogni ostentazione”.

In questo modo, saremo in grado di adorare il Signore “spesso nascosto in situazioni semplici, in persone umili e marginali”. “Che il Signore Gesù ci renda suoi veri adoratori, in grado di manifestare con la vita il suo disegno di amore, che abbraccia l’intera umanità”, è stata quindi l’esortazione finale del Papa.

La stella è Cristo ma possiamo esserlo anche noi

Nel corso del successivo Angelus, il Santo Padre ha insistito su altri due aspetti della liturgia odierna, a partire dalla testimonianza del Vangelo. “La stella è Cristo – ha osservato il Pontefice – ma la stella possiamo e dobbiamo essere anche noi, per i nostri fratelli e le nostre sorelle, come testimoni dei tesori di bontà e di misericordia infinita che il Redentore offre gratuitamente a tutti. La luce di Cristo – ha aggiunto – non si allarga per proselitismo, si allarga per testimonianza, per confessione della fede. Anche per il martirio”.

A conclusione della preghiera mariana, il Papa ha espresso la sua preoccupazione” per “gli eventi nella Repubblica Centrafricana, dove si sono recentemente svolte le elezioni”. In questo frangente, ha quindi invitato “tutte le parti a un dialogo fraterno e rispettoso, a respingere l’odio ed evitare ogni forma di violenza”. Francesco ha infine rivolto i propri auguri “ai fratelli e alle sorelle delle Chiese Orientali, cattoliche e ortodosse, che, secondo la loro tradizione, celebrano domani il Natale del Signore”.

Luca Marcolivio

Testo integrale omelia: http://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2021/documents/papa-francesco_20210106_omelia-epifania.html

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