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Don Fabio, dalla sacrestia alla corsia per stare con i malati di Coronavirus

Assistere gli ammalati di Coronavirus non solo con le cure mediche, ma anche con i Sacramenti. Ecco la storia di don Fabio.

photo web source: ghislieri.it

Don Fabio è un sacerdote ma, in questo periodo di emergenza nazionale, è tornato alla sua primaria professione, quella di medico.

Don Fabio, dalla sacrestia alla corsia

Curare il corpo per aiutare gli ammalati a battere il Coronavirus, ma aiutarli anche dal punto di vista spirituale amministrando loro i Sacramenti. Dalla provincia di Varese, Don Fabio ha lasciato la sacrestia ed è tornato in corsia.

Dalla mia parrocchia di Gallarate, ho deposto la mia tonaca e ho indossato il camice. Sono tornato a fare il medico, come ero prima di entrare in seminario. Ho scoperto, con stupore, di essere stato prete, facendo il medico” – ha raccontato, ad AVVENIRE, don Fabio.

Un uomo prima che un sacerdote e un medico. Una persona che ispira fiducia, tanto da indurre anche suoi colleghi non credenti, a “confessarsi” con lui, o come lui stesso le ha definite, “vere e proprie confessioni laiche”.

“Ho dato l’Unzione a malati ed agonizzanti”

Li ho visti impauriti e sprofondati nella noia di giorni sempre uguali, ritmati solo dagli allarmi delle apparecchiature e dai rumori degli aspiratori. Nel reparto di terapia intensiva non riuscivamo a trasmettere musica perché l’interfono distorce i suoni e perché il soffio dei respiratori soffoca quasi ogni altro rumore […] Celebro l’Eucarestia e prego nel mio salottino, tutto solo come un eremita” – racconta don Fabio.

Don Fabio: “La settimana più dura? Quella di Pasqua”

Il suo esser sacerdote, però, non può passare in secondo piano: “Ho anche amministrato il sacramento dell’Unzione, a persone sedate o agonizzanti […] La mattina di Pasqua, sono passato davanti agli oblò delle camere di degenza con la stola bianca e ho benedetto tutti, distribuendo un’immaginetta con il Risorto; penso che sia stato di conforto a molti” – ha confidato.

Guardare Cristo negli occhi dei malati e dei sofferenti e cercare di aiutarli e consolarli nell’affrontare questa dura lotta. Un sacerdote lo è per sempre ma, in questo caso, anche un medico lo è per sempre.

ROSALIA GIGLIANO

Fonte: avvenire.it

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