Roberto Saviano con Gomorra ha illuminato il resto d’Italia sulle dinamiche della camorra in quartieri come Scampia e mostrato l’influenza commerciale e politica che la stessa detiene in Italia e in Europa.
Sin dall’uscita del film il dibattito si è acceso tra chi pensava fosse giusto mostrare la realtà dei fatti e chi sosteneva che una simile rappresentazione potesse portare ad una contro cultura, ovvero ad un identificazione degli spettatori con i protagonisti delle vicende. La questione si è riproposta un paio di anni fa, quando Sky Cinema ha deciso di investire su una serie tv che narrasse approfonditamente dei personaggi di Gomorra.
Il rischio, secondo i detrattori, è che come in America (si pensi a Bonny e Clyde o a Scarface) la massa possa provare empatia per i personaggi e che si possa formare nella coscienza collettiva un identificazione con la vita criminale. Il pericolo di un simile fenomeno in realtà è poco esteso, ma è anche vero che spettacolarizzare la criminalità organizzata non porta nulla a vantaggio della lotta alla stessa.
Di questo avviso è sicuramente Don Aniello Manganielo, sacerdote che per anni ha lavorato a Scampia, che critica a Saviano di non mostrare chi giornalmente lotta contro la Camorra: “L’opinione pubblica preferisce le storie che aumentano l’adrenalina, le trame violente e criminali. E lo scrittore preferisce ignorare gli uomini le donne che rischiano ogni giorno per contrastare la cultura mafiosa e il degrado del territorio napoletano”.
Convinto che non si possa contrastare la Camorra a tavolino e che ne i romanzi ne le serie tv abbiano un peso specifico nel contrastare le attività criminali, il parroco si scaglia prepotentemente contro il lavoro dello scrittore chiedendo che i suoi lavori sull’argomento non vengano più trasmessi e pubblicati: “Caro Saviano, siamo stanchi dei tuoi romanzi, delle produzioni cinematografiche e televisive. Siamo stanchi di Gomorra, vogliamo un’anti-camorra delle opere”.
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