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Covid: al vaglio il progetto “Non si può morire in solitudine”

Non lasciare da solo chi sta affrontando il Covid, in particolare negli ospedali. L’obiettivo del tavolo di lavoro istituito in Toscana.

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“Non si può morire in solitudine, è una cosa terribile”. Da questo monito,  parte lo studio di un progetto negli ospedali, per portare conforttutti gli ammalati che sono soli ad affrontare il Covid.

Covid: esser vicini agli ammalati in ospedale

Studiare una procedura che permetta ai familiari dei malati di Covid l’accesso in sicurezza ai reparti, per dare loro la possibilità di accompagnare i propri cari ammalati nell’ultimo tratto della vita. Questo è l’obiettivo che la Regione Toscana, insieme all’Assessorato alla Sanità e all’associazione “Tutto è vita onlus”, si pone per dare la possibilità a tutti i malati di non morire da soli.

Padre Bormolini: “Non si può morire in solitudine”

Morire nella solitudine è una delle cose più terribili che possano accadere all’esistenza umana. In questa pandemia, tante sono state le persone che hanno dovuto affrontare tutto ciò, nella solitudine di un reparto, dove a causa di macchinari e respiratori il contatto umano è molto limitato” – spiega padre Guidalberto Bormolini, presidente di “Tutto è vita onlus”.

Accompagnare nell’ultimo viaggio, anche se si è in una corsia d’ospedale: “Accompagneremo i parenti dei malati con una preparazione sia tecnica che psicologica. Infatti da una parte è necessario spiegare loro come muoversi e quali precauzioni adottare, dall’altra bisogna aiutarli a gestire le loro emozioni quando vedono il loro caro e quindi abbiamo una rete di volontari che ci aiutano proprio in questo non facile compito” – spiega il sacerdote.

Covid:  accompagnare i propri cari nell’ultimo viaggio

Non bisogna mai allontanarsi dai propri cari e, questo, è quello che Padre Bormolini fa anche con tutti gli ammalati che assiste negli ospedali: “La mia vicinanza a queste persone vuole esprimersi soprattutto nell’aiutarli a capire che con la morte non finisce tutto […] E le lacrime di chi resta, sono lacrime che possono irrigare questa vita nuova, e dare una nuova speranza a chi deve salutare per l’ultima volta una persona cara”.

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In ultimo, il sacerdote esprime vicinanza anche ai medici e agli infermieri: “In questo momento però è necessario anche dare un forte supporto ai tanti operatori sanitari. Stanno lavorando senza sosta negli ospedali, per gestire la difficile situazione il meglio possibile” – conclude.

Un progetto modello che andrebbe esportato anche nelle altre Regioni d’Italia. Morire da soli? No, non si può e non si deve.

ROSALIA GIGLIANO

Rosalia Gigliano

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Rosalia Gigliano

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