Le contraddizioni delle grandi città, dove da un lato c’è la folla e l’assembramento per lo shopping natalizio, dall’altro la fila alla mensa dei poveri.
A Milano, lo scorso fine settimana, un’immagine sconcertante. La fila di oltre 1 km, per avere un pasto caldo alla mensa dei poveri.
Una fila di più di 1 km, composta e tranquilla, rispettosa anche se in parte, delle norme anti contagio e di stanziamento sociale, quella che si è vista a Milano, all’altezza della sede “Pane Quotidiano”, l’associazione che distribuisce viveri e pasti caldi quotidiani a chi è in difficoltà.
Un’immagine, balzata su tutti i social e su tutti i quotidiani locali e nazionali, che stride l’occhio completamente all’altra immagine che ci ha fatto vedere il centro della stessa città di Milano e le principali vie dello shopping affollate come non si erano viste da mesi a questa parte, a causa della pandemia e delle restrizioni da lockdown.
Tanti in fila, incappucciati e coperti per il freddo pungente che attanagliava Milano. L’associazione “Pane Quotidiano” offre, ogni giorno, tra i 3.000 e i 3.500 pasti, senza chiedere il nome a chi si presenta: “Tanti sono i nuovi poveri, i poveri della pandemia” – afferma, in un’intervista, il vicepresidente dell’associazione, Luigi Rossi.
“La povertà, quella vera, toglie il fiato a chi sa ancora indignarsi davvero” – scrive Marco Bentivogli, ex leader Fim ora coordinatore di Base Italia.
Ed è vero: è inimmaginabile pensare che due immagini così opposte l’una dall’altra, siano poi l’immagine della stessa città. Da un lato, la Milano ricca che spende per Natale, affolla la città, e mette in dubbio tutti i DPCM finora emanati. Dall’altra, la Milano della povertà che sfida il freddo pur di avere qualcosa di caldo da mangiare.
La pandemia ha portato anche questo: un’ulteriore divisione fra le classi sociali.
ROSALIA GIGLIANO
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