Purtroppo non è vero, come viene detto, che la crisi del Coronavirus colpisca solo i più anziani. Anche i più piccoli, i bambini, rischiano di pagarne le conseguenze.
Gli effetti della crisi che sta facendo seguito all’emergenza sanitaria, infatti, rischiano di fare sì che il nostro Paese risulti sempre meno accogliente per i più piccoli. In particolare per le femmine.
La pandemia ha aggravato una crisi già evidente
Già infatti prima dello scoppio della crisi, almeno un minore su nove viveva in povertà assoluta, solo il 13 per cento dei bambini aveva un posto al nido e la dispersione scolastica superava il 13,5 per cento. Si parla cioè di ben oltre un milione di bambini – e di bambine – che nel nostro Paese vive in un assoluto stato d’indigenza.
Oltre a questo i numeri riportano che ora, con la pandemia, entro la fine dell’anno almeno un milione e 140mila ragazze rischiano di ritrovarsi tagliate fuori dallo studio, da percorsi formativi e dal lavoro.
Il problema drammatico dei giovani e dei bambini in Italia
Una realtà che dovrebbe fare molto preoccupare e che emerge dal rapporto “XI Atlante dell’infanzia a rischio – Con gli occhi delle bambine”, pubblicato da Save the Children a pochi giorni dalla Giornata mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
Lo studio infatti ripercorre il problema delle bambine e delle ragazze in Italia. L’assunto, drammatico, che ne emerge è che nel dopo pandemia il loro futuro, se non vengono prese misure al più presto, rischia di essere fortemente messo a rischio.
L’infanzia dimenticata dalle politiche pubbliche
La direttrice generale di Save the Children Italia, Daniela Fatarella, ha ben sottolineato che “già prima dell’emergenza Covid, l’ascensore sociale del Paese era fermo”. Ma che tuttavia, ora, “in Italia si è rotto il meccanismo che permetteva di migliorare la propria condizione, di costruirsi un futuro migliore“.
Già da tempo infatti in Italia l’infanzia occupa purtroppo uno degli ultimi posti tra le priorità delle politiche pubbliche. E nonostante ciò che ora, “di fronte a una sfida sanitaria e socioeconomica come quella che stiamo affrontando, stenta a cambiare strada”, dice la Fatarella.
I dati drammatici dell’inverno demografico: sempre meno bambini
Non bastasse, i numeri mostrano un ulteriore calo dei nuovi nati. A conferma del fatto che l’Italia vive ormai da anni la crisi demografica più buia della sua storia. Si parla di oltre 385mila minori persi negli ultimi dieci anni, che oggi rappresentano solamente il 16 per cento della popolazione totale. Se si conta invece mentre l’incidenza della popolazione tra 0 e 14 anni, quella italiana risulta essere la più bassa di tutta l’Unione europea.
Basta contare che solamente nel 2019 in Italia c’è stato un calo di oltre 420mila nascite, con 19mila nati in meno rispetto all’anno precedente. Se si guarda invece al periodo della pandemia, ovvero al 2020, l’Istat prevede che alla fine dell’anno ci sarà una ulteriore riduzione di 12mila unità.
Frequentare un asilo nido in Italia è un privilegio per pochi
L’istituto di statistiche infatti spiega che nell’intero anno 2020 le nuove nascite sono previste intorno alle 408mila, mentre nel 2021 si pensa potrebbero essere ancora meno, sulle 393mila. Un calo molto brusco che sarebbe dovuto all’incidenza dei minori con cittadinanza straniera, oggi l’11 per cento del totale.
A questi dati drammatici sulla denatalità si aggiunge quindi quello della povertà educativa che rischia di incrementarsi come effetto diretto della crisi del Coronavirus. In Italia, ad esempio, il rapporto spiega che frequentare un asilo nido o un servizio per la prima infanzia è, assurdamente, un privilegio per pochi. Si parla di percentuali drammaticamente basse, che in regioni come la Calabria sono pari al solo 3 per cento, in Campania il 4,3 e in Sicilia il 6,4 per cento.
Le carenza scolastiche che si aggravano
Senza contare infine i purtroppo scarsi risultati ottenuti anche durante il percorso scolastico. Quasi uno studente al secondo anno delle superiori su quattro, infatti, ad oggi non raggiunge le competenze minime in matematica e in italiano. Il 13,5 per cento, invece, abbandonava la scuola prima del tempo.
Di questi, oltre il 20 per cento finiva con il rinforzare il già ampio esercito dei Neet, giovani che non studiano, non lavorano, non lo cercano e non stanno frequentando un corso di formazione professionale.
“Nonostante l’impegno di tanti docenti ed educatori, il funzionamento a singhiozzo delle scuole e la didattica solo a distanza stanno producendo in molti bambini non solo perdita di apprendimento, ma anche perdita di motivazione nel proseguire lo studio”, è la dura presa d’atto di Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.
Giovanni Bernardi