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Coronavirus, Soro: cala sicurezza in rete, il rischio è perdere la libertà

L’allarme preoccupato del Garante della privacy Antonello Soro su rete e libertà: nella prevenzione digitale al coronavirus, rischiamo di passare dal modello coreano a quello cinese, di stampo totalitario e dittatoriale.

Rischiamo di vivere in un sistema di sorveglianza di massa?

Insomma, il Grande Fratello profetizzato dallo scrittore George Orwell è alle porte? “Il rischio che dobbiamo esorcizzare è quello dello scivolamento inconsapevole dal molto evocato modello coreano a quello cinese, scambiando la rinuncia a ogni libertà per efficienza e la biosorveglianza totalitaria per soluzione salvifica”, ha spiegato Soro, presentando alla Camera la Relazione 2019 sull’attività dell’Autorità.

Il rischio di invasione della libertà digitale

Soro ha spiegato di essere ben cosciente del fatto che il nostro Paese sta attraversando un momento molto delicato e difficile, come molte altre nazioni nel mondo. E che, per questa ragione, ogni precauzione è non solo ben accetta ma talvolta anche necessaria. Però ha anche messo in guardia che è necessaria anche un’osservazione più ampia, di carattere generale, che inquadri cioè il modello di società a cui rischiamo di andare incontro.

Non si parla di ipotesi fantascientifiche o astratte, avulse dalla realtà, ma condizioni ben presenti in Paesi come la Cina. Che, in un’epoca di globalizzazione e interconnessione profonda, è meno lontana di quanto si pensi. Ma non tutto è perduto. La crisi del coronavirus può anche portarci ad avere maggiore consapevolezza sui rischi insiti nella tecnologia che oggi si ha a disposizione. E che sembra gratuita e priva di insidie, ma così non è.

La rete permette grandi possibilità ma cela insidie inquietanti, che possono anche limitare la libertà

Durante la pandemia, gli attacchi informatici sono triplicati

Durante la pandemia, infatti, gli atti di spionaggio e sabotaggio sono triplicati, in misura percentuale, rispetto all’anno precedente. Accentuando fenomeno rivoltosi anche ai danni di strutture sanitarie di eccellenza italiane. Atti definibili quasi come “terroristici”. Di fatto, gran parte degli oggetti di uso quotidiano può rappresentare un canale sfruttato da questi potenziali attacchi informatici.

Protezione dei dati, dei sistemi e delle infrastrutture deve essere perciò un obiettivo prioritario delle politiche pubbliche. “Una volta cessata questa difficile stagione avremo forse imparato a rapportarci alla tecnologia in modo meno fideistico e più efficace, mettendola davvero al servizio dell’uomo”, ha spiegato Soro. I suoi riferimenti sono cioè all’app Immuni, che il governo ha implementato per la lotta al coronavirus, nonostante lo scarso successo riscontrato tra gli italiani, di cui solo una minima parte ha deciso di avvalersene.

Rischiamo di vivere in un vero Grande Fratello?

Questi strumenti digitali infatti presentano forti capacità intrusive. Per questo richiedono garanzie adeguate per impedire che diventino sistema di vera e propria sorveglianza massiva, ben lontano quindi dall’essere a servizio della popolazione. I server delle scoeità che sviluppano questo tipo di strumenti sono infatti spesso dislocati al di fuori dei confini nazionali. Quindi sono di difficile controllo, cioè non sicuri.

I server di molti strumenti informatici sono localizzati al di fuori dei confini nazionali, quindi non possono essere controllati dalle autorità governative

L’auspicio di Soro è ci sia, ad esempio, “un supplemento di riflessione in ordine alla progressiva estensione dell’ambito applicativo del trojan, che dovrebbe invece restare circoscritto”. I virus si prestano facilmente ad azioni intrusive nella vita dei cittadini. Azioni ingiustificate che possono degenerare in qualcosa che ricorda mondi distopici, non auspicabili.

Altri paesi hanno censurato lo strumento delle intercettazioni

La Corte costituzionale tedesca, ad esempio, ha deciso di censurare nettamente questo tipo di intercettazioni, con i cosiddetti virus Trojan, anche se preventive. La ragione è che queste violano apertamente non solo l’ordinaria giurisdizione, ma anche il principio costituzionale di proporzionalità. In mano a questo tipo di strumenti, la legge non sarebbe cioè più uguale per tutti.

Senza contare che, ad oggi, gran parte dei sistemi informativi pubblici presentano un alto livello di vulnerabilità. Tutto questo mette a serio rischio anche la sicurezza nazionale, e non solo la privacy dei singoli, che possono vedere in poco tempo divulgati dati sensibili altamente personali.

Il rischio è di uno scivolamento costante e graduale verso una perdita della libertà personale dei cittadini

Il pericolo del “pendio scivoloso”, fino alla perdita di libertà

Nell’ultimo anno, ad esempio, la relazione spiega che ci sono state quasi 1500 notifiche di tentativi di acquisizione di dati personali, i cosidetti data breach. Richiesta di credenziali di accesso, dati di contatto o relativi a strumenti di pagamento, oltre ad accessi abusivi a mail e pec e perdite di dati per effetto di ransomware.

Senza poi contare i sistemi di riconoscimento facciale, che se in alcuni ambiti possono dare contributi importanti nella lotta per esempio della criminalità, in altri possono diventare fonte di importanti ingiustizie, limitando altamente i diritti individuali. Per questo non si può trascurare l’invasività di questi strumenti e di un loro eventuale utilizzo pubblico.

Di fronte alle minacce di uno Stato totalitario che rischia di profilarsi all’orizzonte, bisogna lottare per garantire a tutti la libertà e la verità

Se poi si fa la somma con altri strumenti come la geolocalizzazione e la profilazione, “il pericolo è quello del ‘pendio scivoloso‘, fino all’acritica accettazione sociale della progressiva perdita di libertà“. Tutto ciò, ha spiegato Soro, dimostra “come la stretta dipendenza della sicurezza della rete da chi ne gestisca i vari snodi e ‘canali’ induca a ripensare il concetto di sovranità digitale”.

Giovanni Bernardi

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