Coronavirus, l’arte di influenzare raccontando i numeri

La responsabilità taciuta dell’informazione è quella di lanciare messaggi di tipo allarmistico senza dare informazioni oggettive sulla pericolosità del Coronavirus. 

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Il risultato è che si “influenza” la percezione della realtà dimenticandosi di offrire un panorama esaustivo dei dati che si hanno a disposizione. In questo modo, il rischio è che si finisca per strumentalizzare la comunicazione relativa al Coronavirus per offrire all’opinione pubblica un panorama che però poco ha a che fare con la realtà che effettivamente si ha di fronte.

Coronavirus, quasi tutti i nuovi contagiati sono asintomatici

Costantemente, ad esempio, si citano i nuovi contagiati senza specificare che la stragrande maggioranza degli stessi sono “asintomatici“, come ha spiegato bene nei giorni scorsi il Prof. Giorgio Palù, ordinario di Microbiologia e Virologia dell’Università di Padova. Un termine che sa di linguaggio tecnico, freddo e burocratico, ma che dimostra in sostanza che ci si trova davanti a non malati.

Allo stesso tempo, si parla di un aumento che appare vertiginoso e costante dei numeri, ma allo stesso tempo non si mette in risalto che ciò è dovuto al numero, questo sì crescente in maniera esponenziale, dei tamponi fatti.

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L’aumento di tamponi che legittima scelte politiche assurde

Perciò sulla base di un aumento di tamponi si legittimano scelte di tipo politico, pesantemente catastrofiche, in cui si decide di mandare l’intera popolazione in “lockdown“, facendole però subire pesanti danni di natura economica.

Molte famiglia stanno già perdendo il lavoro, altre lo hanno già perso, altre ancora sono costrette a tirare giù la saracinesca delle proprie attività e mandare a casa i propri dipendenti.

L’irresponsabilità di mandare un Paese a rotoli

Questo è evidentemente un comportamento irresponsabile, che un padre o una madre di famiglia non può in alcun modo accettare. E da ciò si originano gli scontri nelle piazze, che purtroppo rischiano di essere messe sempre più a ferro e fuoco nei prossimi mesi.

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Nel primo giorno dall’entrata del nuovo Dpcm, i dati sono diminuiti significativamente perché sono diminuiti i tamponi. In tutto ciò, le motivazioni dell’Alto Adige sul perché non chiudere gli impianti sciistici mostrano il buonsenso dei lavoratori e di chi porta avanti imprese, di chi sa come gestire al meglio e con responsabilità le proprie attività.

Coronavirus, il caso delle piste dell’Alto Adige

Non c’è infatti bisogno di nessuna indicazione di stampo paternalistico calata dall’alto, ma solo di responsabilità e libertà in mano ai cittadini stessi, capace di discernere il bene e il male. Di capire se è più pericoloso il rischio di contagio, oppure quello di restare inermi di fronte al fallimento delle proprie attività, fino alla crollo di un intero Paese.

Tra le misure dell’ultimo Dpcm, c’è infatti anche lo stop agli impianti da sci. Mentre invece gli amatoriali possono stare “aperti solo subordinatamente all’adozione di apposite linee guida da parte della Conferenza delle  Regioni e delle Province autonome e validate dal Comitato tecnico-scientifico, rivolte ad evitare aggregazioni di persone”.

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Chi vive la realtà conosce cosa è bene o male per sé

La reazione è che i proprietari degli impianti si sono organizzati. Allargando gli impianti sciistici attualmente aperti, questi potranno essere utilizzati sia dai professionisti e non professionisti che dagli sciatori amatoriali. Per la semplice ragione, spiegano, che “gli impianti di risalita vanno parificati al trasporto pubblico locale e una loro chiusura rappresenterebbe un duro colpo per molte zone di montagna che sopravvivono solo grazie al turismo e non hanno altri introiti”.

Senza contare che se chiuderanno gli impianti, “chiuderanno anche gli alberghi e l’economia in questi paesi si fermerà“. Quello che si spera è che la stessa medesima situazione non debba verificarsi anche nel resto del Paese.

L’informazione continua a prosperare fornendo numeri inutili

Eppure, nonostante la realtà della vita dei cittadini, il vizio su cui l’informazione continua a prosperare è quello di continuare a centrare le proprie notizie su un dato, di fatto, falsato: quello dei nuovi contagi. Che non dice nulla di reale, ma terrorizza molto le persone che seguono le notizie.

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A female Waiter of European appearance in a medical mask serves Latte coffee

Con quel numero si apre ormai da marzo ogni telegiornale e ogni giornale. Senza alcuna contestualizzazione. Si parla di migliaia di nuove persone infette ogni giorno, ma si tratta di un dato pressoché inutile.

Il numero dei nuovi contagiati dal Coronavirus è un dato fuorviante

Il dato dei nuovi positivi è fuorviante in quanto influenzato da molteplici fattori che non vengono spiegati. Fattori come il numero di tamponi fatti, il tipo di pazienti controllati, le attività dei laboratori, la precisione del contact tracing. Perché dove ci sono più controlli, ci sono più infetti. Per questo il numero dei nuovi contagi è un dato totalmente arbitrario e artificiale, risultato dell’attività di chi somministra i tamponi.

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L’unico indicatore realmente significativo è quello del rapporto tra nuovi positivi e casi testati. Che rimane però sempre più o meno stabile, intorno al 13 per cento. Vale a dire, sul numero di una persona positiva ogni 7 testate.

1 persone su 7 è positiva, ma solo il 5 per cento di queste è malata

Evidentemente, però, se una persona su 7 è positiva al Coronavirus, e ne muore solamente lo 0,03 per cento, essere contagiati è qualcosa di ben distante dall’essere in pericolo.

Nel frattempo, chi è in pericolo sono le famiglie che dopo provvedimenti ancora più restrittivi non arriveranno alla fine del mese. Si stima che la metà delle piccole e medie imprese europee potrà fallire entro i prossimi dodici mesi, in quanto gli aiuti aiuti statali non saranno comunque sufficienti.

Il commerciante chiude e le multinazionali si arricchiscono

Tutto ciò mentre le multinazionali guadagnano cifre stellari moltiplicate in maniera esponenziale. In particolare quelle del settore digitale, Google, Amazon, Facebook, Apple, ma non solo. Ma restare aperte sono tutte le grandi catene, come MacDonald’s, Autogrill, i grandi marchi di abbigliamento, di arredamento, e di qualsiasi altro settore.

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Insomma, il commerciante sotto casa piange lacrime e sangue, ma il commercio on-line vede i propri ricavi aumentati in maniera astronomica. Qualcosa non va.

Giovanni Bernardi

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