Contesta lezioni lgbt a scuola non autorizzate: il figlio viene punito

Mamma di un alunno modello denuncia una violazione della regola del consenso informato in materia di gender quello che accade dopo è inconcepibile. 

Bambino che piange
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Come se non bastassero i disagi legati alla pandemia e alle difficoltà nel ritorno alla didattica in presenza, la scuola italiana deve vedersela anche con l’ideologia gender.

La contestazione di un genitore finisce in Parlamento

In probabile violazione della regola del consenso informato, lo scorso anno scolastico una scuola primaria di Torino, ha tenuto un corso di educazione sessuale di impostazione palesemente lgbt.

La madre di un alunno ha contestato il provvedimento didattico all’insegnante e al preside, procurandosi così una brutta sorpresa a fine anno: il bambino, “da sempre studioso con profitto”, si è visto penalizzato nei voti in pagella.

L’alunno è talmente studioso e brillante, che alla fine del 2020 si è classificato a livello nazionale nell’ambito di una nota competizione relativa alla matematica, accreditata presso il ministero dell’Istruzione

La vicenda è emersa nei giorni scorsi, a seguito di un’interrogazione parlamentare del senatore di Fratelli d’Italia, Lucio Malan, al Ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi.

L.N., lo sfortunato protagonista della vicenda, è studente della quinta primaria al convitto nazionale “Umberto I” di Torino. Alla madre dell’allievo, come a tutti i genitori, era stato presentato il piano di offerta formativa, nell’ambito del quale era stato inserito tale corso di educazione sessuale.

M.M., madre dell’allievo L.N., aveva quindi rilasciato il proprio consenso. Tutto procede regolarmente fino allo scorso 22 aprile, data in cui la signora M.M. riceve “dalla maestra, M.L.C., nella chat su WhatsApp dei genitori della classe del figlio, le fotografie degli elaborati sotto forma di cartelloni realizzati dai ragazzi raffiguranti scritte di propaganda Lgbt”.

Scuola ferma sulle sue posizioni

Alla richiesta di spiegazioni della madre, il figlio ha raccontato “con evidente imbarazzo, che sono state le maestre a fare tutto quel ‘lavoro’ e che in sostanza lui ha scritto parte di quei cartelloni sotto la loro totale indicazione e supervisione”.

La signora M.M. – si legge ancora nell’interrogazione del senatore Malan – pensava che quei lavori fossero stati inseriti nel corso di educazione sessuale per il quale lei aveva rilasciato il consenso informato, ma è emerso che i lavori di propaganda Lgbt sono stati eseguiti in altra circostanza”.

Il giorno 27 aprile, M.M. scrive all’insegnante M.L.C., “presentando le proprie ferme rimostranze, fra cui la natura sensibile dell’argomento trattato e la mancanza di informazione sulle attività citate, per le quali non le è stata chiesta alcuna autorizzazione, a differenza di quanto avvenuto per il corso di educazione sessuale”.

La maestra ha replicato che il tema sarebbe stato affrontato “dietro una ‘forte richiesta da parte di alcuni alunni’ della classe, ‘trattato in maniera soft, ponendo l’attenzione sul rispetto della diversità’ ex articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. Una versione, quest’ultima, negata dall’alunno, cosicché la madre si è rivolta alla rettrice dell’istituto, G.G., che ha difeso “acriticamente” la scelta dell’insegnante.

Esito beffardo

Risultato: a fine anno, L.N., fino a quel momento stimato da tutti come un alunno modello, si è visto penalizzato nei voti a fine anno scolastico. Secondo il senatore Malan, è probabile che la scuola si sia voluta “rivalere” su quella madre, che aveva osato contestare l’impostazione didattica. A farne le spese è stato quindi il figlio della signora M.

A conclusione della sua interrogazione, il senatore Malan sollecita al Ministro Bianchi un giudizio sui “fatti esposti”, domandando anche “se e quali provvedimenti intenda adottare nei confronti dei responsabili dello svolgimento di tale lezione fuori offerta formativa e senza il consenso dei genitori”.

Il senatore domanda infine “come si concili tale progetto ideologico con il ruolo della famiglia, che ha in maniera privilegiata il compito di educazione dei figli, considerato anche il fatto che essa rappresenta l’ambiente più idoneo ad assolvere l’obbligo di assicurare una graduale educazione della vita sessuale, in maniera prudente e armonica, conformemente alle proprie convinzioni morali”.

A sostegno della propria posizione, Malan ha invocato il rispetto dei “diritti fondamentali riconosciuti, garantiti e tutelati dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, in particolare l’articolo 18”, che tutela la libertà d’educazione, e dell’articolo 30 della Costituzione italiana “che garantisce e tutela il diritto e dovere dei genitori ad educare i propri figli.

Luca Marcolivio

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