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Come fare la confessione al tempo del Coronavirus

Viviamo giorni drammatici, in cui non si può nemmeno fare la confessione. Una questione che si pongono tanti cristiani, specialmente i malati. O, ancor peggio, chi è in fin di vita.

Le storie di questi giorni testimoniano di tanti uomini e donne che sono passati a miglior vita, nell’isolamento più totale dovuto alle restrizioni di sicurezza.

I sacerdoti, con sommo dolore, in molti casi, non hanno potuto dare loro l’estrema unzione. Nel frattempo I cristiani hanno cercato di ingegnarsi il più possibile per condividere momenti di preghiera, utilizzando nei modi più creativi “la rete”.

Ma come porsi dinnanzi al desiderio, e talvolta al bisogno, di fare la confessione? Quali sono le alternative di fronte all’impossibilità di incontrare fisicamente il proprio confessore, per evitare il rischio di contagiare e di essere contagiati?

Soluzioni alternative per la confessione

La Chiesa, mettiamo subito in chiaro, prevede che “la confessione individuale e integra dei peccati con l’assoluzione egualmente individuale costituisce l’unico modo ordinario con cui il fedele, consapevole di peccato grave, è riconciliato con Dio e con la Chiesa”. Concetto, questo, ribadito nella Gaudium et spes da Giovanni Paolo II. Tuttavia esistono delle possibilità “straordinarie” per effettuare il sacramento della penitenza.

C’è chi sostiene ad esempio, come il professore di diritto canonico all’Università Lateranense don Giorgio Giovanelli, la possibilità, “in via del tutto straordinaria e per casi ben definiti”, della confessione effettuata al telefono. Si tratta, viene precisato, di uno strappo alla regola, nella quale sono altrimenti previsti due requisiti di presenza fisica e garanzia di segretezza. Anche se, per quanto riguarda la presenza fisica, questa potrebbe anche considerarsi rispettata, seppure dall’altro capo del telefono. Si è presenti, ma in luoghi diversi.

Il caso di assoluzione per “pericolo imminente”

Un’altra possibilità data al sacerdote è quella dell’assoluzione generale per i malati gravi in isolamento, come previsto dal canone 961 del Codice di Diritto Canonico per casi specifici ed estremi, tra cui rientra il “pericolo imminente” di morte per un gruppo consistente di persone. Quando è stato scritto questo testo, ci si immaginava situazioni come una guerra o un naufragio. Ma nessuno nega che possa essere valido anche per una situazione di epidemia, come quella drammatica che stiamo vivendo.

Una terza via è quella della recita dell’Atto di contrizione, da fare esclusivamente dopo un severo e attento esame di coscienza, in cui si chiede al Signore la Grazia del pentimento, recitando subito dopo anche l’Atto di dolore. Infatti è lo stesso Catechismo della Chiesa cattolica che afferma come, quando fatta nel modo corretto, cioè con sincero dispiacere per si è compiuto, l’Atto di contrizione “rimette le colpe veniali; ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale”.

(Websource/Archivio)

L’Atto di contrizione

Una preghiera che si può recitare per compiere l’Atto di contrizione, può essere ad esempio questa: “Signore, io detesto tutti i miei pec­cati, perché sono tua offesa e mi ren­dono indegno di riceverti nel mio cuore; e propongo con la tua grazia di non commetterne più per l’avveni­re, di fuggire le occasioni e di farne la penitenza“.

Le forme straordinarie del sacramento di penitenza

Un’altra conferma in questo senso ci viene data dal Vescovo di Brescia, monsignor Pierantonio Tremolada, che in una lettera inviata il 13 marzo scorso ai suoi fedeli scrive: “A tutti vorrei poi ricordare che in momenti di particolare gravità, quando non vi siano le condizioni per accostarsi al Sacramento della Penitenza nella forma consueta della confessione personale, la Chiesa stessa prevede la possibilità di ricevere il perdono del Signore nella forma del Votum Sacramenticioè esprimendo il desiderio di ricevere il Sacramento della Riconciliazione e proponendosi di celebrarlo successivamente”.

Queste forme “straordinarie” del sacramento della penitenza, tuttavia, devono restare tali nella maniera più assoluta. Come precisò infatti Giovanni Paolo II nel 1984: “Se è vero che, ricorrendo le condizioni richieste dalla disciplina canonica, si può fare uso della terza forma di celebrazione, non si deve però dimenticare che questa non può diventare una forma ordinaria, e che non può e non deve essere adoperata se non ‘in casi di grave necessità’, fermo restando l’obbligo di confessare individualmente i peccati gravi prima di ricorrere di nuovo a un’altra assoluzione generale”.

Ma in tempi duri come quelli che stiamo vivendo, queste soluzioni possono risultare molto efficaci per riconciliarsi con il Nostro Signore Gesù Cristo, che tuttavia non smette mai di amarci incondizionatamente.

Giovanni Bernardi

Fonte: Vita.it

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