
“Che vita avrà mio figlio?”. Cosa risponderebbe una madre che sa di attendere un bambino con la sindrome di Down?
Se questo, da un lato, aiuta a prevenire alcune malattie e a preparare la madre al, comunque, lieto evento (nel caso il piccolo abbia qualche psicopatologia o qualche handicap fisico), dall’altro, è usato come pretesto, come mezzo preannunciante una gravidanza indesiderata e le conseguenti e drastiche scelte abortive.
Nel voler ribadire, ad ogni costo, che una vita che è stata concepita ha sempre il diritto di venire al mondo e di ricevere (anche nel caso abbia qualche malformazione, leggera o grave che sia) tutte le attenzioni e le cure necessarie, perché viva dignitosamente e in una società pronta ad accoglierlo, ci rendiamo conto che molte delle Nazioni europee propongono l’aborto, come alternativa all’handicap! Come se l’aborto risolvesse il “problema” di un figlio con qualche disabilità; come se il non farlo nascere equivalesse al non averlo mai né voluto, né concepito.
Esistono diverse associazioni, che aiutano le madri a comprendere il difficile, ma comunque grandioso, ruolo che avranno nella vita dei loro bambini Down; ci sono tanti specialisti e persone di buon senso, ma anche madri che hanno già avuto a che fare con gravidanze problematiche, che possono consigliare al meglio e rasserenare le neo mamme.
Esiste, ad esempio, il CoorDown, ossia il Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down, che ha lo scopo -come si legge sulla loro pagina Web- “di attivare e promuovere azioni di comunicazione unitarie e condivise tra le diverse associazioni italiane che si occupavano di tutelare e promuovere i diritti delle persone con sindrome di Down”.
Antonella Sanicanti