La camicia che indossava il giorno dell’uccisione, racchiude in sé tutto il significato del suo sacrificio di martire.
La camicia insanguinata del Beato Rosario Livatino è stata portata nella Cattedrale di Agrigento per la sua Beatificazione. Il sangue di un uomo che ha offerto la propria vita per la giustizia e per la legalità, ora innalzato agli onori degli Altari, sia segno di rinascita.
Un segno indelebile, una camicia azzurra macchiata di sangue, ormai rappreso, ma che rappresenta tutto il coraggio del giudice ragazzino. Così veniva chiamato Rosario Livatino, ucciso a nemmeno 38 anni, dalla mano criminale della mafia.
Una reliquia molto particolare, esposta alla pubblica venerazione nella Cattedrale della città di Agrigento il giorno della Celebrazione della sua Beatificazione.
Per molti era semplicemente considerata “un reperto” sul quale indagare e da utilizzare per capire i motivi che avevano portato alla morte del giovane magistrato, reperto che è servito anche nei diversi processi alla Corte d’Assise di Caltanissetta. Ma il presidente della Corte siciliana ha deciso, con un decreto, che ora quella camicia “non è più un reperto, ma bensì una reliquia”.
Per questo motivo, è stata portata nella cattedrale di Agrigento, città natale del Beato Livatino. “Martire della Giustizia e, indirettamente, anche della fede” – come recitava la motivazione per la sua beatificazione.
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La sua camicia: oggi una reliquia sì, ma essa è rimasta custodita, negli armadi blindati del Tribunale di Caltanissetta, per 31 anni senza che nessuno ufficialmente lo richiedesse. Oggi invece è lì, ad Agrigento, custodita in un reliquiario in argento martellato e cesellato, appoggiata su di una base di altrettanto argento, sulla quale sono rappresentati i due libri di vita del giudice Livatino: il Codice Penale ed il Vangelo.
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ROSALIA GIGLIANO
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