L’appello dei liturgisti: la Messa non è uno spettacolo!

In alcuni momenti, purtroppo, si va a Messa in una maniera del tutto scorretto, come spiegano alcuni esperti in maniera allarmata. 

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L’appello preoccupato dei liturgisti riguarda il modo in cui si partecipa alla Santa Messa, che talvolta sembra diventata una sorta di platea, quasi se si trattasse di uno spettacolo teatrale e cinematografico, e il tutto è testimoniato dall’approccio ai riti virtuali che si è verificato durante la pandemia, ma che in alcuni casi continua ancora oggi.

Cosa è accaduto nella Chiesa con l’arrivo della pandemia

Per molti, infatti, all’interno della Chiesa e tra i cattolici, la pandemia sarà forse un po’ ricordata come il tempo delle “Messe virtuali“, nonostante già da molto tempo esistano le celebrazioni sullo schermo, e basta pensare a quelle in diretta nella televisione pubblica la domenica mattina.

La questione però rischia di presentare aspetti piuttosto problematici, come ha spiegato da alcune settimane il teologo don Giuliano Zanchi, direttore della Rivista del clero italiano e responsabile scientifico della Fondazione Bernareggi. “Ormai le nostre assemblea hanno cominciato a somigliare a platee che, anche quando animate da una certa complicità partecipativa, hanno assimilato gli schemi mentali tipici dello spettacolo”, ha affermato il religioso ad Avvenire.

Il rischio di una sorta di “spettacolarizzazione” dell’Eucaristia

Sostenendo che “non è un caso che i molti che sono passati dalla Messa in presenza a quella in video non abbiano percepito una vera differenza”. Insomma, una sorta di “spettacolarizzazione” dell’Eucaristia da cui bisogna però fortemente guardarsi, perché l’incontro con Gesù è prima di tutto un evento fisico, concreto, comunitario, di popolo.

Segno, secondo il religioso, di un altro problema che si sta sviluppando da tempo: quello cioè del distacco delle parrocchie dal territorio in cui si sono inserite, generando una sorta di “ritirata del radicamento territoriale”. “Molta gente di fede non trova più le forme per poter essere anche gente di chiesa”, afferma il teologo. Nella società globale e svincolata da ogni radice e territorio, anche le parrocchie, ultimo baluardo in difesa dell’umano, fanno fatica a portare avanti il loro compito.

La triste conclusione: per molti “la Messa è una esperienza minoritaria”

La triste conseguenza è che per molti “la Messa torna a essere esperienza minoritaria”, visto l’appello delle scorse settimane in cui molti lamentano il fatto che il Covid che ha “svuotato” le celebrazioni. “Questo frangente complesso segnato dal coronavirus ha messo in rilievo alcune mancanze e carenze che erano già precedenti“, continua in maniera realistica il religioso, invitando tuttavia a guardare alla “gente” della Messa e notando chi sono i partecipanti e con quale spirito vi si recano.

Non siamo più di fronte a un’assemblea organica e compatta, come quella tridentina, dove il precetto festivo si assolveva andando a Messa nella propria parrocchia”, commenta. “Abbiamo invece un’assemblea più fluida che condiziona le diverse modalità di partecipazione”. Ovviamente, l’allusione è quella alla partecipazione in rete, in tv, alla radio o nelle forme più svariate. Con rischi come l’improvvisazione o la sovrapposizione mediatica.

Quali sono i pericoli insiti in queste dinamiche legate alla fede

Perché “non tutte le Messe in televisione oppure online sono uguali“, spiegano i liturgisti dell’associazione. Quello che serve è la comunità reale, più che quella virtuale. Fatta di campanili, pastori, fedeli, referenti fisici, persone che di fronte al dolore e alle necessità sono disponibili ad accogliere e ascoltare, e quando possibile aiutare.

“Per questo è bene che la mediazione della Rete o della tv assicuri il contatto con il corpo della propria comunità“, è la conclusione del sacerdote, che in maniera pragmatica invita a seguire la Messa proposta dalla propria parrocchia anche quando e se in rete. Tuttavia, la situazione critica invita la Chiesa a uno sforzo ulteriore per combattere la degenerazione che è sociale, non solamente legata a un ambito specifico. Soprattutto, la chiamata è quella a essere ottimisti.

Ricordare che nelle più piccole assemblee il Signore si fa presente

“Il Covid ha mortificato molto nelle celebrazioni ma ha anche valorizzato qualche aspetto, almeno per quanto riguarda l’accoglienza”, afferma l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, ricordando che il seme della Parola cade su “un terreno che non produce frutto se esso non è disposto ad accogliere e custodire il buon seme stesso“.

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Insomma, sarà forse come nella profezia di Ratzinger dei lontani anni sessanta, in cui l’allora teologo tedesco immaginava una Chiesa di minoranza ma ben salda nella propria fede, da cui tutto il resto della società avrebbe preso nuovo spunto vitale?

Il dovere della comunità di radicarsi nell’Eucarestia

Il problema, però, con la rete che incombe anche sulle Messe, è garantire l’unione salda anche delle piccole comunità territoriali. “C’è prima di tutto il dovere della comunità di radicarsi nell’Eucaristia da cui scaturisce il diritto di ogni battezzato all’Eucaristia stessa. Là dove questo non è possibile, potrebbero essere riscritti ad esempio i confini della comunità per averne una più ampia”, spiega Tomatis.

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Tuttavia, bisogna sempre ricordare che “anche nelle più piccole assemblee il Signore si fa presente. A partire da questa consapevolezza, si tratta di fare in modo che ogni assemblea eucaristica renda visibile il mistero di Cristo e della Chiesa. Quindi l’assemblea non è soltanto il soggetto dell’Eucaristia, ma fa parte del mistero stesso che si manifesta nelle persone, che in carne e ossa, con i loro limiti e le loro storie, la formano”.

Giovanni Bernardi

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