Zona Rossa: l’eccessiva prudenza non svilisca il valore della Messa

Il Dpcm sul Coronavirus, come noto, divide l’Italia in tre aree. Nella zona più critica, quella rossa, per andare a Messa bisognerà portare l’autocertificazione. 

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Per andare a Messa nella zona rossa serve l’autocertificazione. Ma la Chiesa dovrebbe invitare i fedeli a riporre la propria fiducia in Cristo – photo web source

Un fatto che desta sospetti e preoccupazioni tra i fedeli, specialmente per alcuni passaggi diffusi della Cei che si sono letti in queste ore. Si rischia di vedere nuovamente consegnata la Chiesa alle autorità statali? L’idea che circola in queste ore, infatti, è che nuovamente da parte delle gerarchie ecclesiastiche italiane ci sia stato un eccesso di “prudenza”, quando non un rischio di sottomissione vera e propria al volere del governo in carica e del Comitato tecnico-scientifico.

Messa e zona rossa: i dubbi sulla sottomissione della Chiesa allo Stato

La Cei aveva infatti spiegato più volte nei giorni scorsi che la celebrazione eucaristica non è in discussione, e si potrà partecipare alla Santa Messa. E al momento, infatti, non ci sono cambiamenti per i fedeli che vogliono partecipare alle celebrazioni. Ad eccezione del fatto che nelle zone rosse, per partecipare a una celebrazione o per recarsi in un luogo di culto, si deve semplicemente compilare un’autocertificazione.

Ma l’idea che nelle aree più in crisi si debba portare l’autocertificazione, in seguito il consiglio della Cei di non partecipare e di stare volontariamente il naso, ha fatto storcere il naso a molti. Secondo alcuni, l’idea che i vescovi italiani invitino a non andare a Messa è qualcosa di molto problematico. Secondo altri, i più critici, si tratta di un’affermazione aberrante.

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Messa si o no: la Cei alle tante domande che arrivano in queste ore

La questione nasce con le precisazioni del direttore dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della Conferenza Episcopale Italiana, Vincenzo Corrado, in risposta alle numerosi richieste di chiarimento legate al Dpcm del 3 novembre 2020, che entra in vigore nella giornata di oggi. Le domande, con tutta evidenza, saranno state piuttosto pressanti, se a rispondere si è proposta in prima persona la Conferenza dei vescovi italiani.

Il testo diffuso dal governo afferma che, per quanto riguarda le celebrazioni, “l’accesso ai luoghi di culto avviene con misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro”.

La Cei consiglia prudenza e raccomanda sui “protocolli”

Insomma, con per i precedenti Dpcm, le celebrazioni con la partecipazione del popolo si svolgono nel rispetto del protocollo sottoscritto in maniera congiunta sia dal Governo che dalla Conferenza Episcopale Italiana, insieme alle indicazioni del Comitato tecnico-scientifico. Tuttavia, quello che emerge è che nelle zone rosse per poter partecipare alla celebrazione bisognerà munirsi di autocertificazione già compilata.

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Per quanto riguarda invece le attività pastorali e di catechesi, la Segreteria generale della Cei consiglia “consapevole prudenza”. Oltre a raccomandare “l’applicazione dei protocolli indicati dalle autorità”. Insieme anche a una “particolare attenzione a non disperdere la cura verso la persona e le relazioni, con il coinvolgimento delle famiglie, anche attraverso l’uso del digitale”.

Autocertificazione per la Messa. Il rischio di tornare a marzo

Nelle zone rosse, però, i vescovi italiani invitano a evitare momenti in presenza. Non si capisce quindi bene se ci si riferisca ad attività parrocchiali in genere, o anche alle celebrazioni. Di certo, i fedeli si attenderebbero dai pastori una parola di incoraggiamento nel riporre tutta la propria fiducia in Cristo, in Colui che dona la speranza e apre il cuore alla gioia della vita eterna.

Al contrario, si registra ancora una volta il messaggio di pastori incerti e timorosi che non riescono a fare altro che abdicare al proprio compito in favore di incerti rischi sanitari, ideologie tecnico-scientifiche e di un nuovo statalismo imperante che punta a riscrivere l’antropologia umana fin dalla sua radice più profonda.

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La mancanza di coraggio della Cei nell’invitare a riporre fiducia in Cristo

Ciò che invece la Cei si limita a fare, è invitare i fedeli a favorire con creatività modalità d’incontro simili a quelle già sperimentate nei mesi precedenti, nei momenti di più rigido lockdown, e dando infine attenzione alle diverse fasce di età.

Per ora, quindi, non ci sono grandi stravolgimenti alla situazione in corso. Tuttavia, sembra di vedere già delinearsi, un po’ alla volta, la precedente situazione di marzo, dove per lunghe settimane è stata negata ai fedeli la possibilità di partecipare fisicamente alle celebrazioni eucaristiche.

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Quelle raccomandazioni a rispettare, in maniera astratta e per principio, le raccomandazioni delle autorità assomiglia quasi alla consegna di carta bianca al governo per decidere, nuovamente, di impedire ai cristiani il libero culto, che è un diritto costituzionale irrevocabile e che i vescovi, e tutti i cristiani in generale, farebbero bene a difendere con le unghie e con i denti. 

Giovanni Bernardi

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