Covid, Zangrillo: terrore mediatico intasa gli ospedali

“Il virus c’è, ma serve un’assunzione di responsabilità”. Parla Zangrillo: “Il lockdown è un fallimento. Guardiamo a chi ha altre malattie e non viene curato”

Zangillo - ospedali terrore mediatico

Il medico si è duramente scagliato contro la “continua evocazione della guerra e di scenari terrificanti da parte di persone che hanno ruoli istituzionali”. A suo avviso, “qualcosa di controproducente per via dell’effetto panico che provoca”.

Zangrillo: lo spavento crea un iper-afflusso e intasa gli ospedali

Per il semplice fatto, cioè, che “le persone, spaventate, non seguite a domicilio, arrivano tutte in ospedale. Un iper-afflusso, visibile dai codici di accesso“, ha spiegato il primario di Terapia intensiva al San Raffaele di Milano e prorettore dell’Università Vita-Salute Alberto Zangrillo in un’intervista al quotidiano Il Foglio. Che ha continuato a sottolineare come negli ospedali, specialmente nelle aree metropolitane, “il 60-70 per cento sono codici bianchi e verdi, e il tempo medio di dimissione è di 21 ore”.

Così accade che “in questa situazione, i pazienti, in Pronto soccorso, coabitano con quelli arrivati per patologie non Covid e con quelli che hanno una sintomatologia Covid intermedia o grave, cioè i codici gialli e rossi. Questo porta alla saturazione”. 

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Il terrore mediatico e la solitudine dei cittadini davanti alla pandemia

Di fronte alla pandemia, ci si sente infatti sempre più spaesati. Ogni giorno e ad ogni ora viviamo un bombardamento costante di numeri, dati, opinioni sul Coronavirus, in attesa di un vaccino quasi miracolistico di cui però raramente si parla in maniera scientifica.

Di conseguenza, la maggior parte della popolazione alla prima linea di febbre comincia ad avere il terrore e si reca al primo pronto soccorso in cerca di rassicurazioni, o meglio di capire se ha contratto il virus oppure no. Di fronte a queste situazioni, i medici spesso non sanno come comportarsi.

L’idea di essere in una guerra non piace affatto a Zangrillo

Ma l’idea di essere nel mezzo di una guerra che si sta combattendo non piace affatto a Zangrillo. Già lo scorso maggio le sue parole sul virus “clinicamente inesistente” hanno segnato per settimane le cronache di tutto il Paese.

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Zangrillo ha ammesso di avere usato toni duri ma il contenuto di quanto ha espresso, ha sottolineato, era ben chiaro. Su quello, ancora oggi, non transige. C’è una “diminuzione delle manifestazioni cliniche”, continua a dire ancora oggi Zangrillo.

“Basta una linea di febbre e ci si precipita all’ospedale: non va bene”

“Il virus circola, l’infezione da Sars-CoV-2 che colpisce l’Italia sta colpendo tutto il mondo, ma si esprime in modo diverso rispetto a marzo”. Tuttavia, il vero problema resta il panico che vive tra la popolazione, spesso conseguenze diretta del bombardamento mediatico che si vive a ogni ora del giorno. Generando quella che Zangrillo ha definito una “corsa al tampone”.

“Oggi una persona, appena scopre di avere una linea di febbre, cerca spasmodicamente di verificare se ha contratto il virus o meno, spesso non riuscendoci in tempi brevi”, ha spiegato. Portando così l’attenzione sul fatto che questo fa perdere tempo prezioso: “la battaglia contro Sars-CoV-2 passa dalla diagnosi e dalla terapia medica tempestiva”, dice Zangrillo.

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Il primario Alberto Zangrillo – photo web source

L’appello di Zangrillo ai medici: assumetevi le vostre responsabilità

Che manca un messaggio ben chiaro. “Ogni medico deve essere allora in grado, ed essere messo in grado, di assumersi la responsabilità del caso, prima di tutto parlando con il paziente per cercare di catturare elementi utili a escludere il ricovero, e procedere alla cura domiciliare, o per indirizzare al contrario il paziente in ospedale. Le persone sono spaventate, ma vanno seguite a casa prima di tutto”.

Per Zangrillo, quindi, la “pandemia può essere gestita responsabilmente, ripeto, cioè con assunzione di responsabilità: comprendo che il paziente ha bisogno di profilassi ma comprendo anche che non è da ospedale. Intanto lo curo a casa e lo monitoro”.

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“Il lockdown in alcuni casi può essere indispensabile, ma bisogna leggerlo come fallimento. Vediamo già un 30 per cento in meno di pazienti con patologie non correlate al Covid: molti rimandano esami e visite. Ma spesso non c’è tempo, e questo avrà un prezzo”.

Giovanni Bernardi

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