Vivo con un divorziato è un problema? Il teologo risponde.

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Sono una donna molto riservata; proprio per questo affido a questa mail la speranza di alleggerirmi di un peso che mi porto dentro da un po’ di tempo.

Sin da piccola mi sono stati trasmessi principi forti e inderogabili: ero una bambina con la testa «da adulta». Nella mia formazione hanno giocato un ruolo decisivo anche la scuola frequentata (liceo classico gestito da sacerdoti) e la parallela attività in parrocchia. Sono così diventata una persona stimata per le sue qualità umane, morali e professionali.

Dopo un lungo fidanzamento, ho sposato l’unico fidanzato della mia vita; ma la nascita dell’unico mio figlio ha accentuato il disagio interiore e inconfessato che mio marito covava dentro di sé (non aveva un lavoro) e che lo ha avvicinato all’alcool. Inutile descrivere il dolore di quegli anni. Mi sono allora rivolta ad una psicologa ma, nello stesso periodo, in seguito ad un incidente automobilistico mio marito è deceduto. Sono seguiti lunghi anni di «clausura», interrotta solo dagli impegni di lavoro e dalla psicoterapia. Grazie ad essa ho faticosamente riacquistato il sorriso e la fiducia nella vita. E proprio cinque anni fa (casualità o provvidenza? A me molti indizi fanno rispondere disegno divino), ho conosciuto un uomo altrettanto sensibile e riservato, che stava guadando la sofferenza di una separazione voluta ed ottenuta da sua moglie. Si è creata tra noi una forte empatia, proseguita in una breve amicizia e sfociata nell’attuale relazione affettiva, (che però non prevede un progetto di coabitazione).

Quello che mi logora silenziosamente è il timore di perdere la stima di cui godo tra colleghi e conoscenti (infatti cerco il più possibile di evitare una vita sociale), per via di questo legame con un uomo bollato come «separato». E, soprattutto, mi sono allontanata dalla Chiesa, perché mi sento giudicata, respinta, non degna di partecipare all’Eucarestia. Le parole di papa Bergoglio sono di refrigerio quando dice: «Dio non si stanca mai di perdonare», ma io vorrei confrontarmi con qualche persona non laica e in modo specifico su questa mia situazione e su questa spiacevole sensazione.

Ringrazio anticipatamente chi vorrà prendere in esame questa lettera.

 

Gentilissima lettrice,
Credo di capire il suo disagio e mi fa piacere che abbia trovato nelle parole del Papa a proposito della misericordia di Dio un conforto e un incoraggiamento. Non posso che incoraggiarla a mia volta. La esorto a non sentirsi respinta dalla Chiesa e a non rifuggire neanche dalla vita sociale. Le consiglio di cercare una guida spirituale disponibile ad accompagnarla con cui imbastire un dialogo e operare un discernimento. Perché di fronte alle situazioni complicate non sempre ci sono risposte che si possono scrive a tavolino, si può solo cercare con pazienza e speranza, dialogando, pregando e aprendo il cuore. D’altra parte la sua lettera, più che la volontà di esternare pubblicamente una condizione interiore, lascia intravedere il desiderio di un confronto personale.

Il discernimento può aprire alla considerazione di possibili vie di soluzione, non esclusa l’indagine sulla eventuale nullità del fallito matrimonio dell’uomo a cui lei è adesso legata. In ogni caso l’accompagnamento spirituale realizzato nel dialogo ci aiuta a non perdere mai di vista l’amore di Dio e a coltivare la speranza. È questo quanto le auguro con tutto il cuore.

 

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