Vangelo della Domenica delle Palme secondo Marco 14,1-72.15,1-47 – audio forma breve

vangelo di oggi 25 marzo 2018
Passione di Nostro Signore Gesù Cristo

Passione del Signore

Dal Vangelo secondo Marco 14,1-72.15,1-47 
Mancavano intanto due giorni alla Pasqua e agli Azzimi e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di impadronirsi di lui con inganno, per ucciderlo.
Dicevano infatti: «Non durante la festa, perché non succeda un tumulto di popolo».
Gesù si trovava a Betània nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo.
Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: «Perché tutto questo spreco di olio profumato?
Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei.
Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un’opera buona;
i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempre.
Essa ha fatto ciò ch’era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura.
In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto».
Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai sommi sacerdoti, per consegnare loro Gesù.
Quelli all’udirlo si rallegrarono e promisero di dargli denaro. Ed egli cercava l’occasione opportuna per consegnarlo.
Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo
e là dove entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?
Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, gia pronta; là preparate per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono per la Pasqua.
Venuta la sera, egli giunse con i Dodici.
Ora, mentre erano a mensa e mangiavano, Gesù disse: «In verità vi dico, uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà».
Allora cominciarono a rattristarsi e a dirgli uno dopo l’altro: «Sono forse io?».
Ed egli disse loro: «Uno dei Dodici, colui che intinge con me nel piatto.
Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito! Bene per quell’uomo se non fosse mai nato!».
Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo».
Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti.
E disse: «Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti.
In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio».
E dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse.
Ma, dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea».
Allora Pietro gli disse: «Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò».
Gesù gli disse: «In verità ti dico: proprio tu oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte».
Ma egli, con grande insistenza, diceva: «Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano anche tutti gli altri.
Giunsero intanto a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: «Sedetevi qui, mentre io prego».
Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia.
Gesù disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate».
Poi, andato un pò innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora.
E diceva: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu».
Tornato indietro, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?
Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole».
Allontanatosi di nuovo, pregava dicendo le medesime parole.
Ritornato li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano appesantiti, e non sapevano che cosa rispondergli.
Venne la terza volta e disse loro: «Dormite ormai e riposatevi! Basta, è venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori.
Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».
E subito, mentre ancora parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni mandata dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani.
Chi lo tradiva aveva dato loro questo segno: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta».
Allora gli si accostò dicendo: «Rabbì» e lo baciò.
Essi gli misero addosso le mani e lo arrestarono.
Uno dei presenti, estratta la spada, colpì il servo del sommo sacerdote e gli recise l’orecchio.
Allora Gesù disse loro: «Come contro un brigante, con spade e bastoni siete venuti a prendermi.
Ogni giorno ero in mezzo a voi a insegnare nel tempio, e non mi avete arrestato. Si adempiano dunque le Scritture!».
Tutti allora, abbandonandolo, fuggirono.
Un giovanetto però lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono.
Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo.
Allora condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi.
Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del sommo sacerdote; e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco.
Intanto i capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano.
Molti infatti attestavano il falso contro di lui e così le loro testimonianze non erano concordi.
Ma alcuni si alzarono per testimoniare il falso contro di lui, dicendo:
«Noi lo abbiamo udito mentre diceva: Io distruggerò questo tempio fatto da mani d’uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d’uomo».
Ma nemmeno su questo punto la loro testimonianza era concorde.
Allora il sommo sacerdote, levatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?».
Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?».
Gesù rispose: «Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo».
Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni?
Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte.
Allora alcuni cominciarono a sputargli addosso, a coprirgli il volto, a schiaffeggiarlo e a dirgli: «Indovina». I servi intanto lo percuotevano.
Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una serva del sommo sacerdote
e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo fissò e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù».
Ma egli negò: «Non so e non capisco quello che vuoi dire». Uscì quindi fuori del cortile e il gallo cantò.
E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: «Costui è di quelli».
Ma egli negò di nuovo. Dopo un poco i presenti dissero di nuovo a Pietro: «Tu sei certo di quelli, perché sei Galileo».
Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo che voi dite».
Per la seconda volta un gallo cantò. Allora Pietro si ricordò di quella parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai per tre volte». E scoppiò in pianto.
Al mattino i sommi sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pilato.
Allora Pilato prese a interrogarlo: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici».
I sommi sacerdoti frattanto gli muovevano molte accuse.
Pilato lo interrogò di nuovo: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!».
Ma Gesù non rispose più nulla, sicché Pilato ne restò meravigliato.
Per la festa egli era solito rilasciare un carcerato a loro richiesta.
Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio.
La folla, accorsa, cominciò a chiedere ciò che sempre egli le concedeva.
Allora Pilato rispose loro: «Volete che vi rilasci il re dei Giudei?».
Sapeva infatti che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia.
Ma i sommi sacerdoti sobillarono la folla perché egli rilasciasse loro piuttosto Barabba.
Pilato replicò: «Che farò dunque di quello che voi chiamate il re dei Giudei?».
Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!».
Ma Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Allora essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!».
E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la coorte.
Lo rivestirono di porpora e, dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela misero sul capo.
Cominciarono poi a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!».
E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui.
Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce.
Condussero dunque Gesù al luogo del Gòlgota, che significa luogo del cranio,
e gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.
Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse quello che ciascuno dovesse prendere.
Erano le nove del mattino quando lo crocifissero.
E l’iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei.
Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra.
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I passanti lo insultavano e, scuotendo il capo, esclamavano: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni,
salva te stesso scendendo dalla croce!».
Ugualmente anche i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano: «Ha salvato altri, non può salvare se stesso!
Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio.
Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: «Ecco, chiama Elia!».
Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce».
Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Il velo del tempio si squarciò in due, dall’alto in basso.
Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!».
C’erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di ioses, e Salome,
che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.
Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la Parascève, cioè la vigilia del sabato,
Giuseppe d’Arimatèa, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù.
Pilato si meravigliò che fosse gia morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo.
Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe.
Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l’entrata del sepolcro.
Intanto Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano ad osservare dove veniva deposto.
Parola del Signore

Commento al Vangelo

PASSIONE D’ AMORE – DOMENICA DELLE PALME B – Marco 14,32-15,47

La Passione ci introduce nell’ultima fase della vita di Gesù. Fase scandalosa che mette alla prova lo sguardo di fede dell’uomo e costituisce un angolo prospettico che sembra smentire tutto ciò che Gesù ha fatto ed è stato.
Colui che ha attirato folle e creato una comunità itinerante di discepoli viene rigettato dalle folle e abbandonato dai discepoli. Colui che ha curato e guarito molti malati, ora si trova nell’impotenza di salvare chicchessia. L’Onnipotente è onnidebole. Colui che ha annunciato il Vangelo del Regno con potenza di parola, ora entra progressivamente nel silenzio. Colui che ha vissuto una vita di fedeltà al Dio unico, si vede condannato dalle legittime autorità religiose del popolo di Dio. Colui che ha sempre nutrito una relazione personalissima di confidenza con Dio che chiamava ‘Abbà’, ora gli si rivolge con una domanda che grida l’enigma del sentirsi abbandonati da lui.
In questi eventi vi è qualcosa che sembra dichiarare falso tutta la vita precedente di Gesù, la sua fede, il suo amore, la sua speranza. E così un’intera vita spesa nella donazione di sé per gli uomini e nella fedeltà obbediente al Padre, nell’amare e nel benedire, si trova sepolta sotto il peso dell’infamia che Gesù vive e subisce nei suoi ultimi momenti.
Ma nella Passione emerge anche con forza la signoria di Gesù. Egli affronta gli eventi con la grande libertà che gli deriva dall’obbedienza alle Scritture e con la forza che gli viene dalla preghiera: preghiera inesaudita ma che gli fa accettare il cammino tragico che lo attende come occasione di fede, speranza e amore nel suo Dio. Questo libero abbandono al volere del Padre è la forza profonda di Gesù. Forza che manca ai discepoli che non vegliano né pregano e sono perciò sorpresi dagli eventi e abbandonano la sequela. La fine di Gesù è anche il momento del fallimento della sua comunità, dello scacco del gruppo di coloro che egli aveva scelto perché stessero con lui. Eppure, proprio allora sorgono altri discepoli, là dove nessuno se li sarebbe aspettati. La donna di Betania che profuma il corpo di Gesù in vista della sepoltura, Simone di Cirene che porta la croce dietro a Gesù, il centurione che confessa ‘Figlio di Dio’ il crocifisso, Giuseppe di Arimatea, che aspettava il Regno di Dio e riceve il corpo

di Gesù. Il chicco di grano caduto a terra trova inattesi e impensabili terreni buoni che lo accolgono e portano frutto.

Il Getsemani

E’ tipico di Marco raccontare la Passione di Gesù in tutta la sua crudezza, senza nulla attenuare. Possiamo definire il Getsemani come la Passione interiore del Messia: gli episodi successivi raccontano ciò che gli uomini hanno fatto a Gesù, qui viene rivelato ciò che egli ha provato nel suo animo. Marco mette in risalto la ‘debolezza’ di Gesù, la sua paura di fronte alla sofferenza, la sua angoscia di fronte alla morte: Matteo e Luca si sforzeranno invece di attenuare tutto questo. I tre verbi che descrivono l’atteggiamento di Gesù indicano sgomento, angoscia, tristezza, quasi un disorientamento. Del resto le parole di Gesù sono chiare: la mia anima è tristissima, da morirne: rimanete qui e vegliate.
Nella prima parte del racconto è dominante un movimento di separazione: Gesù si separa dai discepoli, poi dai tre discepoli prediletti, infine resta solo. Con questo si fa risaltare la solitudine di Gesù: nella prova egli è solo di fronte al Padre. Lo invoca, ma anche il Padre sembra rimanere in silenzio. Vive il disorientamento di chi si sente abbandonato da Dio (nel quale, tuttavia, continua a confidare), di chi urta contro un piano di salvezza, che sembra smentire la forza dell’amore.
Ma il punto centrale dell’episodio è la preghiera di Gesù al Padre, che esprime una sorta di lacerazione interiore. Al di là di tutto c’è un punto fermo: la consapevolezza del proprio rapporto filiale con Dio: ‘Abbà’, papà. Il segreto dialogo d’amore con il Padre non è mai cessato. Ed è proprio qui che nasce l’implorazione: “Tutto è possibile a te. Allontana da me questo calice”. Se Dio è Padre e può tutto, perché non sottrae alla prova? E’ questa la domanda spontanea dell’uomo, anche dell’uomo Gesù. Ma dopo l’implorazione, ecco la fiducia rinnovata, l’abbandono senza riserve: “Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu”. In questa circostanza Gesù si rivela come modello di preghiera per noi. Anche noi, quando siamo angosciati e chiediamo a Dio di essere salvati, dobbiamo sempre lasciare a lui la scelta del modo in cui salvarci.
Ma non c’è solo la preghiera, ci sono anche gli amici, e Gesù chiede ad essi conforto, condivisione, ma il discepolo non sa condividere e non capisce. Gesù è veramente solo.

E se all’inizio dell’episodio ci viene descritto un Gesù angosciato e impaurito, alla fine — dopo la preghiera — ci viene descritto un Gesù che ha ritrovato la serenità e la fermezza.

Il Padre non ha sottratto Gesù alla Croce, ma lo ha aiutato ad attraversarla. Il silenzio di Dio è un modo diverso di parlare.

La crocifissione

Marco organizza il racconto della Crocifissione in modo da mettere in risalto la ‘solitudine’ del Cristo morente: egli è il giusto abbandonato. Come al Getsemani la solitudine è tanto profonda che sulla bocca del Cristo affiora la preghiera del giusto sofferente, che si scontra con il silenzio di Dio: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Sulla croce Gesù è raggiunto da quella tentazione che l’ha accompagnato durante tutta la sua vita, dal deserto in poi. Ma non è più di satana, bensì del popolo indifferente, dei capi che lo beffeggiano, dei soldati che lo insultano. Se sei l’eletto di Dio, perché Dio non ti aiuta? Il suo silenzio non è la prova del tuo ‘errore’? Il fallimento della strada dell’amore non è segno che la saggezza risiede altrove? Ma Gesù si abbandona fino in fondo a questa ‘debolezza dell’amore’ e proprio per questo la potenza di Dio, la potenza dell’amore, si è rivelata.
Nella scena degli oltraggi Gesù è negato nella sua duplice identità. Negato in quella logica di donazione che ha guidato tutta la sua vita: donazione che qui viene capovolta, incompresa e ritorta contro di lui: “Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso”. Ed è negato nella sua origine, nella sua messianicità e nella sua filiazione, nella sua comunione con Dio: “Il Messia scenda dalla Croce e crediamo”.
Di fronte a Gesù — se guardiamo la scena dal punto di vista dei presenti — si scorgono due tipi di fede, e Gesù in Croce ne è lo spartiacque: da una parte, la fede di chi pretende che il Messia abbandoni la Croce e compia miracoli; dall’altra, la fede di chi, come il centurione, coglie la divinità di Gesù proprio nella Croce. E’ sulla Croce che si conosce veramente chi è Gesù e in che senso egli è Messia e Figlio. Sorprende, ma secondo Marco il vero credente è un centurione pagano. La fede nasce da Gesù morente. Il centurione riconosce il Figlio di Dio nella morte, non soltanto nei miracoli.
E’ nell’amore che si dona senza riserve che il discepolo deve scorgere il volto del vero Dio e la strada della vera salvezza.

La Passione di Cristo e noi…

Morire d’amore è cosa da Dio. Gesù sulla Croce ci rivela quanto siamo amati e a quale prezzo. L’amore conosce molti doveri, ma il primo di questi è essere insieme con l’amato, vicino, unito, come una mamma quando il figlio sta male e vorrebbe prendere su di sé il male del suo bambino, ammalarsi lei per guarire suo figlio. Gesù è salito sulla croce per essere con me e come me e perché io possa essere con lui e come lui. Non scende dalla croce, non pensa a salvare se stesso, ma gli sta a cuore la mia salvezza.
Gesù sulla Croce ci rivela che cosa significa amare ad ogni costo e fino all’estremo. Lui non era nato per soffrire, ma per amare. Questa missione lo ha condotto alla sofferenza, ma la Croce non è una scuola di sofferenza, bensì di amore. Noi, molte volte restiamo sordi e ciechi a chi ci chiama ad amare, troppo ripiegati su noi stessi. Gesù ha potuto ascoltare ogni appello ad amare, perché non si ripiegava sui propri interessi. Per amare, non si tirò indietro di fronte alla difficoltà, all’incomprensione o alla minaccia. La Croce è l’abisso, dove Dio diventa l’amante. Non gli è bastato lavarmi i piedi, donarmi il suo corpo da mangiare, muore in croce per me! Giro la testa e vedo uno sulla croce che, a braccia spalancate, mi grida: ‘Ti amo!’.
Ma l’amore chiama amore! Eppure quanta distanza tra Gesù e i suoi discepoli. Quanta distanza tra i suoi sentimenti e i miei sentimenti! La Passione rivela, in tutta la sua drammaticità, la debolezza del discepolo: l’incomprensione, l’abbandono e il tradimento. Le espressioni che Marco usa sono molto rivelatrici: tradire, essere addormentati, fuggire, ab- bandonare. Per fortuna, al di là di tutto, c’è l’amore di Cristo che è più forte e ostinato dell’incomprensione del discepolo e del suo tradimento. Per fortuna ci sono davanti a noi i santi, che hanno preso sul serio quest’amore di Dio. S. Francesco prega così: ‘L’ardente e dolce forza del tuo amore rapisca la mia mente da tutte le cose, perché io muoia per amor dell’amor tuo, come tu ti sei degnato di morire per amor dell’amor mio’. La Chiesa nasce dalla contemplazione del volto del Crocifisso. Per diventare Chiesa anche noi dobbiamo sostare accanto alle infinite croci del mondo, dove Cristo è ancora oggi crocifisso nei suoi fratelli, disprezzato, umiliato, respinto, ricacciato indietro.

La passione di Cristo in forma breve

 

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