Con la venuta al mondo di suo Figlio Gesù, Dio ci reca in dono la fraternità. Non una fraternità fatta di “belle parole, di ideali astratti, di vaghi sentimenti” bensì “una fraternità basata sull’amore reale”.
Un amore “capace di incontrare l’altro diverso da me, di con-patire le sue sofferenze, di avvicinarsi e prendersene cura anche se non è della mia famiglia, della mia etnia, della mia religione”.
Per l’ottava volta, papa Francesco ha proclamato il tradizionale messaggio Urbi et Orbi di Natale. Per la prima volta, in ossequio al rispetto delle norme sanitarie, il messaggio è stato letto dall’Aula della Benedizione.
Covid: cure e vaccini siano garantiti a tutti
Grazie al Bambino nato ieri notte a Betlemme, “tutti possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo Padre, Papà”, ha detto il Pontefice. “Il Bambino di Betlemme – ha aggiunto – ci aiuti allora ad essere disponibili, generosi e solidali, specialmente verso le persone più fragili”. A tale riguardo, il Santo Padre ha menzionato “i malati e quanti in questo tempo si sono trovati senza lavoro o sono in gravi difficoltà per le conseguenze economiche della pandemia“. Un pensiero anche per le “donne che in questi mesi di confinamento hanno subito violenze domestiche”.
Il Papa ha quindi fatto appello “ai responsabili degli Stati, alle imprese, agli organismi internazionali” affinché mettano a disposizione i “vaccini per tutti, specialmente per i più vulnerabili e bisognosi di tutte le regioni del Pianeta”.
Un pensiero è stato quindi rivolto da Francesco ai “troppi bambini che in tutto il mondo, specialmente in Siria, in Iraq e nello Yemen, pagano ancora l’alto prezzo della guerra”. “I loro volti – ha detto – scuotano le coscienze degli uomini di buona volontà, affinché siano affrontate le cause dei conflitti e ci si adoperi con coraggio per costruire un futuro di pace”.
Medio Oriente e Africa trovino finalmente la pace
Preghiere sono state rivolte dal Vescovo di Roma per l’“amato popolo siriano”. Ad esso, ha aggiunto il “popolo iracheno”, in particolare, gli “yazidi”. Per quanto riguardo la Libia, nell’auspicio che “la nuova fase dei negoziati in corso porti alla fine di ogni forma di ostilità nel Paese”.
Un appello per una “pace giusta e duratura” è stato lanciato per “israeliani e palestinesi”. Altri paesi e regioni della terra scossi da conflitti di vario livello sono il Libano, l’Ucraina, il Nagorno-Karabakh: anch’essi sono stato citati dal Santo Padre.
Volgendo lo sguardo verso l’Africa, la preghiera del Papa è stata rivolta in particolare per le “popolazioni del Burkina Faso, del Mali e del Niger“. Anche Etiopia, Mozambico, Sud Sudan, Nigeria e Camerun sono stati ricordati dal Pontefice nelle sue preghiere.
Americhe scosse da pandemia, corruzione e narcotraffico
Francesco ha quindi pregato per l’intero “Continente americano, particolarmente colpito dal coronavirus“. Nel nuovo continente, la pandemia “ha esacerbato le tante sofferenze che lo opprimono, spesso aggravate dalle conseguenze della corruzione e del narcotraffico”. Una menzione particolare per “le recenti tensioni sociali in Cile” e i “patimenti del popolo venezuelano”.
Tornando sull’Asia, Bergoglio ha richiamato l’attenzione su Filippine e Vietnam, “dove numerose tempeste hanno causato inondazioni” e sul “popolo Rohingya: Gesù, nato povero tra i poveri, porti speranza nelle loro sofferenze”.
A conclusione del messaggio Urbi et Orbi, il Pontefice si è rivolto alle famiglie, in particolare “a quelle che oggi non possono ricongiungersi, come pure a quelle che sono costrette a stare in casa. Per tutti – ha detto – il Natale sia l’occasione di riscoprire la famiglia come culla di vita e di fede; luogo di amore accogliente, di dialogo, di perdono, di solidarietà fraterna e di gioia condivisa, sorgente di pace per tutta l’umanità”.
Ci è stato dato un figlio
Ieri sera, durante l’omelia della Vigilia di Natale, il Santo Padre si è soffermato sulla profezia di Isaia: «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9,5). Ciò significa che “Dio viene al mondo come figlio per renderci figli di Dio” ed è un grande sollievo. Ogniqualvolta ti senti “inadeguato” o stai per “perderti d’animo”, Dio ti risponde: “No, sei mio figlio!”. E non lo dice “a parole” ma “facendosi figlio come te e per te”.
Quello del proprio Figlio è il dono più prezioso che Dio poteva fare agli uomini, perché “non riesce a non amarci”. E sa che “noi miglioriamo solo accogliendo il suo amore instancabile, che non cambia, ma ci cambia”. “Solo l’amore di Gesù – ha proseguito il Pontefice – trasforma la vita, guarisce le ferite più profonde, libera dai circoli viziosi dell’insoddisfazione, della rabbia e della lamentela”.
Gesù viene al mondo “scartato” per ricordarci che “ogni scartato è figlio di Dio” ma anche perché “noi possiamo accogliere con tenerezza le nostre fragilità”. Dio, infatti, “ama fare grandi cose attraverso le nostre povertà”.
Betlemme, ha puntualizzato il Papa, significa “Casa del pane”, quasi a significare che “per vivere abbiamo bisogno di Lui come del pane da mangiare”. A noi che “parliamo molto ma siamo spesso analfabeti di bontà”, a noi che, “insaziabili di avere, ci buttiamo in tante mangiatoie di vanità”, quella mangiatoia, “povera di tutto e ricca di amore”, insegna che “il nutrimento della vita è lasciarci amare da Dio e amare gli altri”.
“Sei Tu, Gesù, il Figlio che mi rende figlio. Tu mi ami come sono, non come mi sogno. Abbracciando Te, Bambino della mangiatoia, riabbraccio la mia vita”, ha quindi concluso Francesco.